Pochi giorni fa due cittadini di Montopoli (Pi), Ahmed e Alessandra, hanno messo a disposizione dei profughi giunti in città un piano della loro casa e un appartamento in pieno centro storico, perché, ha spiegato Alessandra alla Nazione, “io e mio marito ci siamo conosciuti anche grazie a parole come solidarietà, tolleranza, inclusione e rispetto”.
Il gesto di Ahmed e Alessandra non è un fatto isolato: tanti i cittadini che in Toscana e in tutta Italia hanno messo a disposizione dei profughi alloggi e beni di prima necessità. Tuttavia l’impegno di tanti cittadini attivi e solidali non può essere la risposta o addirittura l’unica risposta. Come denunciano le associazioni che da sempre si occupano di accoglienza e integrazione, quel che serve è innanzitutto uscire dalla logica dell’emergenza.
Ad oggi in Italia sono stati accolti oltre 78mila migranti (dati Ministero degli Interni al 15 giugno 2015), numeri importanti ma simili, se non addirittura minori, rispetto agli anni precedenti. Numeri che, ormai dal 2011, raccontano un fenomeno divenuto strutturale al quale non si può continuare a rispondere con soluzioni d’emergenza ma approntando un nuovo modello organizzativo.
Come ha scritto la Caritas di Pisa nel suo Decalogo dell’accoglienza diffuso in occasione della Giornata mondiale del Rifugiato, “il modello fortemente centralizzato nelle mani del Ministero dell’Interno e delle Prefetture è idoneo per emergenze e fenomeni anche acuti ma limitati nel tempo; meno, invece, per gestire un flusso ininterrotto e crescente di persone in fuga da guerre, conflitti e situazioni di grave pericolo. Al riguardo, quindi, fermo restando il coordinamento da parte del Governo e delle sue emanazioni territoriali, riteniamo sia fondamentale l’attivazione di una cabina di regia e processi decisionali il più vicino possibile al territorio e quantomeno di livello regionale prevedendo comunque un forte coinvolgimento degli enti locali e delle realtà dell’associazionismo e del terzo settore presenti sul territorio e che hanno esperienza e competenza in materia”.
Un’accoglienza diffusa e condivisa con il territorio e il terzo settore è la via scelta dalla Regione Toscana. Ad oggi in Toscana si contano 4mila profughi in 280 centri di accoglienza straordinaria: si tratta di piccole strutture (15 ospiti per centro) presenti in circa 150 Comuni (poco più della metà dei Comuni toscani) e gestite da enti del terzo settore. In particolare la provincia di Firenze è l’area che ne ospita di più, circa un migliaio, distribuiti in 63 centri: 11 centri sono gestiti dalle Misericordie, 4 da Caritas, 8 da altre associazioni di volontariato e 40 da cooperative sociali.
In questi centri associazioni e cooperative offrono non solo la prima accoglienza ma, in molti casi, anche attività di socializzazione e opportunità di integrazione. A partire dallo scorso maggio, infatti, la Regione Toscana ha invitato i Comuni ad attivare progetti di volontariato civico per i profughi e stanziato un fondo di 100mila euro per coprire le polizze assicurative (leggi delibera).
Attività di volontariato in cambio di accoglienza: un modo per trasformare l’accoglienza dei profughi in una risorsa per tutta la comunità e per evitare che i primi 6 mesi di soggiorno, quando la legge vieta ai richiedenti asilo di lavorare, diventino un’attesa interminabile.
Una decina di Comuni hanno già risposto e attivato convenzioni con le associazioni del territorio. Come a San Miniato dove, grazie alla collaborazione della Misericordia di Empoli, i migranti si occuperanno di pulire strade e giardini. A Prato chi vorrà tra i 210 profughi accolti potrà occuparsi del verde pubblico con un progetto promosso da Caritas e Arci. A San Casciano sono 30 i profughi che svolgono attività di volontariato civico grazie ad un accordo tra Comune e Oxfam (leggi l’intervista).
A Scandicci, tra i primi Comuni ad attivarsi, i profughi potranno svolgere varie attività: trasporto sociale con la Croce Rossa, manutenzione dei giardini con l’Associazioni Anziani e l’associazione La Racchetta ma anche aiutare i ragazzi disabili dell’associazione Coala a coltivare un giardino aromatico. E poi progetti simili a Sesto Fiorentino, Figline-Incisa, Lastra a Signa, Tavernelle Val di Pesa, Capannoli, Palaia, Pistoia.
Tuttavia - avvertono le associazioni - sul medio e lungo periodo anche il cosiddetto “modello toscano” rischia di implodere. Per uscire dalla logica dell’emergenza occorre altro. Innanzitutto ampliare la rete Sprar, il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati creato nel 2002. Nei centri Sprar sparsi in Italia sono ospitati solo una piccola parte dei profughi, circa 21 mila. Il resto è ospitato in strutture temporanee (Centri di Primo Soccorso e Accoglienza, Centri d’Accoglienza, Centri d’accoglienza per richiedenti asilo), concentrate soprattutto in Sicilia (19%), Lazio (11%), Lombardia (10%), Puglia e Campania (7%).
In Toscana la rete Sprar conta 14 progetti attivi in quasi tutte le provincie che complessivamente accolgono 595 richiedenti asilo, un numero assai ridotto rispetto ai 4mila profughi presenti su tutto il territorio regionale. Anche la gestione dei centri Sprar è affidata a soggetti del terzo settore, soprattutto Arci e Caritas ma non mancano associazioni del territorio con grande esperienza nell’ambito dell’accoglienza, come Progetto Accoglienza di Borgo S. Lorenzo o Querce di Mamre di Santa Croce sull’Arno o le cooperative sociali Il Cenacolo e So&Co.
Come si legge nel Decalogo dell’accoglienza di Caritas Pisa, estendere la rete Sprar significa offrire una risposta più organica e strutturata, ovvero misure di orientamento e accompagnamento legale e sociale, percorsi individuali di inclusione e inserimento sociale ed economico mediante corsi di lingua italiana, istruzione degli adulti, iscrizione a scuola dei minorenni, accompagnamento ai servizi socio-sanitari e interventi di informazione legale.
Rafforzare l’accoglienza nei centri Sprar è, secondo Caritas Pisa, anche una questione di giustizia sociale perché “assicura un sostegno continuativo e prolungato nel tempo, finalizzato all’inclusione sociale. Ed è solo il caso, ossia la disponibilità di posti, che decide se un richiedente asilo finisce in un sistema o nell’altro. E’ senz’altro vero, come scriveva don Milani, che ‘fare parti uguali fra disuguali è la più grande ingiustizia’, ma lo è altrettanto fare parti diseguali fra uguali. Questo doppio binario d’accoglienza, scaturito soltanto dalla difficoltà di gestione dell’emergenza e che non trova giustificazione alcuna nelle condizioni delle persone accolte, deve necessariamente essere sanato con provvedimenti a livello nazionale”.
Foto di Oxfam Italia.