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Se tutto il territorio accoglie, l'integrazione è più facile. L'esperienza di Oxfam

Intervista a Rachele Nucci, coordinatrice per l'accoglienza ai rifugiati

Come funziona il cosiddetto ‘modello toscano’ di accoglienza profughi e richiedenti asilo? Per capirlo abbiamo intervistato Rachele Nucci, coordinatrice di Oxfam Italia per l'accoglienza ai rifugiati.

Ad oggi quanti profughi state accogliendo nelle vostre strutture in Toscana e chi sono le persone che accogliete?

Al momento stiamo accogliendo 93 persone. La maggior parte, ben 58, sono accolti in appartamento nei comuni di Arezzo, Castiglion Fibocchi e Subbiano. Altri 30 rifugiati si trovano invece in un ex hotel di San Casciano, mentre cinque donne sono ospitate in una struttura del quartiere di Novoli a Firenze. I migranti che stiamo ospitando provengono da 14 diversi paesi diversi (Pakistan, Bangladesh, Gambia, Mali, Senegal, Nigeria, Guinea Conakry, Guinea Bissau, Repubblica Democratica del Congo, Sudan, Burkina Faso, Eritrea, Ghana), ed hanno un’età compresa tra i 52 e 18 anni, anche se molti di loro sono giovani e sono arrivati in Italia da soli dopo lunghissimi e pericolosissimi viaggi della speranza a volte durati mesi o anni, durante cui spesso hanno perso i loro cari in mare o nel viaggio dal loro paese di origine verso la Libia, divenuta a tutti gli effetti la porta di ingresso verso l’Europa per la maggior parte di loro.

Quali sono le problematiche più diffuse tra i profughi e quali difficoltà incontrate nell’attività di accoglienza?

I motivi per cui i profughi giungono in Italia sono molto diversi, e molto diverse sono le situazioni che si lasciano alle spalle: guerre, conflitti locali, persecuzioni, povertà estrema e altro ancora. Sono persone che arrivano in uno stato di estrema fragilità e con forti aspettative sulla possibilità di ricostruirsi un futuro in una realtà diversa. Pertanto è molto delicato costruire con loro un rapporto di fiducia, reso ancor più complesso anche dalle differenze linguistiche e culturali.

Che tipo di attività e servizi di accoglienza offrite ai profughi?

Gli ospiti sono accolti secondo un modello di accoglienza diffusa e rivolta all’integrazione, molto simile al modello Sprar, che prevede, oltre alla fornitura di vitto e alloggio, forme di assistenza e accompagnamento che possano aiutarli nel percorso di richiesta di protezione internazionale e nella permanenza in una del tutto realtà nuova e diversa. Ad Arezzo collaboriamo ad un progetto Sprar di Arci Toscana e offriamo corsi di lingua italiana, mediazione linguistico-culturale e laboratori per l’integrazione.

Dal 2002 è attiva in Italia la rete Sprar, il sistema di protezione e accoglienza dei richiedenti asilo e molte associazioni, anche in Toscana, chiedono che venga ampliata, perché?

Perché lo Sprar è un sistema ordinario e strutturato, che gestisce l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati con una logica di accoglienza diffusa e integrata, il cui ampliamento consentirebbe di superare la gestione emergenziale e di offrire, a parità di risorse, molte più garanzie sulla qualità dei servizi per le persone ospitate.

P1100789A San Casciano avete attivato un progetto col Comune e altre associazioni che permette ai richiedenti asilo presenti sul territorio di svolgere attività di pubblica utilità. Che tipo di attività svolgono e come è stato accolto il progetto dai cittadini?

A San Casciano è stato firmato un protocollo di intesa tra Comune, Oxfam Italia e associazioni del territorio per la realizzazione di attività di volontariato. Dopo la sua stipula, Oxfam ha dato via a incontri bilaterali con le associazioni interessate a proporre attività. Per adesso sono stati coinvolti 18 ragazzi in attività di volontariato e corsi di formazione come la rilegatura di libri, il mantenimento e la cura del campi e degli impianti sportivi, la gestione della ristorazione in pizzerie e bar, attività di giardinaggio, pubblica utilità e molto altro ancora. I cittadini di San Casciano hanno cambiato il loro approccio ai migranti accolti: seppur dapprima diffidenti, oggi sembrano mostrare una maggior interesse e solidarietà verso queste persone che spesso sono state viste impegnate in attività di pubblica utilità e formazione.

La Toscana è stata tra le prime regioni ad inaugurare un modello di accoglienza diffusa e condivisa con le associazioni del territorio. Secondo la vostra esperienza “sul campo”, come sta funzionando questo modello, quali le criticità e i suoi possibili sviluppi?

L’accoglienza diffusa ha indubbiamente grandi vantaggi, come l’attenzione individualizzata alla persona e il rapporto diretto con il territorio: se è il territorio nel suo complesso che “accoglie” le persone, il percorso di autonomia e integrazione ha molta più probabilità di avere successo. Esistono già molte esperienze di protocolli d’intesa per la realizzazione di attività ricreative, formative e di volontariato: un modello che andrebbe esteso molto di più, considerati i risultati che riesce a ottenere in termini di integrazione dei migranti nelle nostre città. I piccoli comuni con una popolazione di circa 15mila abitanti sono potenzialmente le migliori realtà su cui concentrare il modello: costituiscono il contesto ideale sia per favorire l’integrazione che per evitare un processo di “ghettizzazione” dei migranti.
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