Anni addietro in questa stessa rubrica, abbiamo trattato di bambini in alcuni articoli (per esempio qui e qui); evidentemente non se ne parla mai abbastanza, ed ecco quindi che ci torno sopra.
Ancora oggi, infatti, la pubblicità non ha trovato la sintesi tra dolore e rigore, tra empatia della foto e toni pacati e meno ansiogeni, tra “didattica della sofferenza” e “normalità dell’impegno”; se la vostra associazione tratta temi legati ai bambini, che tono quindi dare alla comunicazione? Che protagonismo ai contesti di povertà o disagio o deprivazione (o nei riguardi delle tante disabilità)?
Nei decenni scorsi, i bambini in comunicazione (un po’ come i cani e gli animali in genere) venivano utilizzati per rendere il prodotto più simpatico per campagne commerciali a corto di idee (ma anche a corto di prodotto), campagne che per fortuna il Codice di Auto-disciplina Pubblicitaria IAP ha spesso bloccato perchè troppo sbilanciate o scorrette, se non addirittura ingannevoli.
L’Archivio di Comunicazione Sociale di Cesvot contiene molte campagne che hanno per protagonisti infanzie bisognose, negate e rinnegate; in esse quasi sempre vince una certa “agiografia della verità”, la messa in mostra delle facce, degli occhi, delle ferite e delle situazioni di sofferenza. E’ quindi questo il consiglio da dare alle tante associazioni che si occupano di bambini in un depliant, nei cartelloni e nei calendari, nelle loro sedi?
Un equilibrio è estremamente difficile (da raggiungere, ma soprattutto da mantenere) e nella tecnica problem-solving (problema-soluzione), la durezza delle immagini serve ad evocare il bisogno (il problema) per stimolare una reazione di coinvolgimento (la soluzione), sia essa una donazione con un sms solidale o un impegno volontario a tutto tondo.
Probabilmente, proprio il grado di “sofferenza esibita e necessaria” può esserne il metro, in misura inversamente proporzionale all’impegno richiesto: in una raccolta-fondi potrebbe essere utile una immagine ad alta empatia, se invece l’obiettivo è un impegno personale, l’adesione ad un volontariato più militante, forse c’è meno bisogno di immagini-shock (ad alta empatia e soluzione immediata).
Personalmente, penso però che l’esibizione di immagini più forti appartenga ad un’epoca antica della pubblicità, quando la conoscenza dei problemi era più ridotta rispetto ad oggi, e che ci sia invece una via più “soft” rispetto alla pura e semplice istigazione del senso di colpa (ma forse è questa la grande ipocrisia).
Nei vostri materiali, se utilizzerete immagini forti di bambini, sforzatevi di utilizzare anche immagini positive, perché l’insicurezza e la sensazione di inutilità (di fronte a problemi ed immagini così immensi), sono in grado di farci superare il senso di colpa, di farci girare la testa dall’altra parte.
Alla prossima… e fate pubblicità!