Nel 2004 nasce a Bologna Altratv.tv, il primo osservatorio e network di web tv italiane che ogni anno realizza il Rapporto Netizen. Abbiamo intervistato il suo fondatore Giampaolo Colletti.
E’ appena uscito in libreria il tuo libro “Social TV: guida alla nuova tv nell’era di Facebook e Twitter”. Come cambiano trasmissioni e palinsesti quando lo spettatore è sempre più partecipativo?
Trasmissioni e palinsesti sono già molto cambiati nel mercato americano. In Italia questa trasformazione sarà percepibile dalla prossima stagione televisiva. Assisteremo ad inserti di social tv che renderanno la televisione non più soltanto vista ma anche partecipata. Una partecipazione che il cittadino già vive su molti schermi. Alcune ricerche ci dicono che noi abbiamo a disposizione 5 schermi a testa (tv, tablet, smartphone, pc, notebook…). La televisione esce dalla cornice tradizionale e si posiziona su altri formati.
Ci dici sempre che in rete vince chi fa gioco di squadra. Enti locali, piccole e medie imprese, cittadini… concretezza e vicinanza ai bisogni. La rete, le web tv sembrano proprio lo strumento ideale per il volontariato. Ma quale presenza ha il Terzo settore tra le 642 web tv attive in Italia?
Il Terzo settore vive moltissimo nei palinsesti delle web tv italiane. Alcune sono addirittura tematiche, esclusivamente dedicate al terzo settore. Nel nord Italia, attraverso format dedicati e servizi giornalistici, si raccontano tante esperienze legate al volontariato. Quello che fanno le web tv è connettere il territorio. In Italia abbiamo tanti ‘territori’, tante “Italie digitali” perché la rete è lo specchio del territorio reale… Ecco che allora abbiamo numerosi canali che trasmettono e raccontano le forme più diverse del volontariato. Grazie a video e web tv il Terzo settore riesce a documentare visivamente e concretamente quelle che sono le azioni che svolge giorno per giorno. Quindi non soltanto le web tv sono uno strumento utile per informare i cittadini sulle attività del Terzo settore ma anche quest’ultimo può utilizzare le web tv per video-documentare le proprie attività.
Gaia Peruzzi, nel suo libro “Fondamenti di comunicazione sociale. Diritti, media, solidarietà” , ci spiega che la comunicazione sociale è sovversiva nella misura in cui promuove l’emersione di nuovi diritti, individuali e collettivi nella sfera pubblica. Anche questo mi spinge a notare le assonanze, gli obiettivi comuni, le possibili alleanze…
Io credo molto che la rete sia di per sé sovversiva ed anche autodisciplinata. La rete ha un potenziale enorme e la comunicazione sociale riesce a vivere in rete grazie a quello che è l’elemento cardine della rete cioè il dialogo, l’ascolto, l’empatia con il prossimo. Ed, infatti, per web 2.0 si intende proprio questo: un luogo di ascolto e dialogo costante, di condivisione di buone pratiche.
Marco Esposito sostiene che non è un dogma il fatto che web e televisione debbano farsi la guerra e chi riuscirà ad integrare i due linguaggi sarà il nuovo Bill Gates, perché il web può compensare la mancanza di partecipazione e di interazione della tv. Che ne pensi?
Il web sta spingendo gli altri media verso questa interazione, sta avendo un ruolo di pioniere rispetto a nuove forme di partecipazione. La tv tradizionale e gli altri media (radio, carta stampata, ecc.) stanno attingendo molto dai nuovi linguaggi e dai nuovi stilemi della rete. La rete sta educando e facendo saltare alcuni schemi tradizionali. Credo anche che chi fa campagne sociali, fino a poco tempo fa un po’ verticistiche ed unidirezionali, oggi grazie alla rete ha capito il valore del confronto, del dialogo. La rete ha spostato l’asticella un po’ più in alto, anche rispetto a chi opera nel Terzo settore, perché ha costretto i suoi operatori a fare i conti con l’interlocutore al quale hanno sempre guardato ma con il quale adesso possono avere un dialogo continuo.
Ma prima che la web tv diventi un’occasione persa bisognerebbe investirci. L’asta dei diritti tv può essere l’occasione per destinare una quota a queste realtà? Lo ritieni possibile?
Lo ritengo auspicabile ma non credo sarà possibile. Difficilmente si realizzerà. Un grande avvocato romano, Guido Sforza, che segue da tempo questi temi, dice che la vera battaglia per le web tv si combatterà ancora sul telecomando e non solo sul computer e sugli smartphone. Quando le web tv arriveranno ad avere il loro spazio nel televisore di casa che, ancora oggi si sta moltiplicando e sotto alcuni aspetti sta rinascendo, allora le cose cambieranno. Negli altri Paesi ci sono quote di mercato che vengono destinate all’uso della televisione da parte di enti e associazioni. In Italia si è tentato qualcosa del genere con le cosiddette tv comunitarie che nei paesi del nord Europa sono molto sviluppate, pur essendo nate oltre oceano. A San Francisco esistono delle fasce orarie in cui la people tv, la tv via cavo - quella di maggior successo in America - dedica ore di programmazione al Terzo settore, alle associazioni, alle realtà della pubblica amministrazione. In Italia questo non avviene, salvo sporadici casi, come alcuni canali del digitale terrestre in Toscana o Emilia Romagna, o qualche progetto della pubblica amministrazione. Però sono mosche bianche; in realtà su questo fronte c’è ancora molto da fare.
Nell’ultimo un anno in Italia le web tv sono aumentate dell’11%, contano 10mila addetti e un fatturato di 10 milioni di euro. Questi numeri potranno influenzare la spartizione pubblicitaria?
Ci vorrà ancora del tempo… Ma l’ecosistema digitale, complesso di per sé, sta mutando, si sta spostando. Oggi quei 10mila operatori per 10 milioni di euro sono vecchi editori di televisioni locali, sono videomaker che chiudono a causa del digitale terrestre. Il digitale terrestre è stata una mannaia, ha rafforzato poche tv extra-regionali e ha fatto fuori quelle locali, territoriali e provinciali. Perché possa avvenire una vera e propria evoluzione, deve crescere una nuova consapevolezza del mondo della pubblicità ad investire in queste realtà. La pubblicità ha aumentato l’investimento nell’online, oggi in Italia registriamo un più 6% rispetto all’anno passato, però si investe sempre nelle grandi piattaforme editoriali. Quindi il rischio per la rete è che si ripropongano i vecchi monopoli. Questo è il vero rischio, cioè che le logiche della televisione generalista, monopolistiche e verticistiche, si spostino sul web.
E’ appena uscito in libreria il tuo libro “Social TV: guida alla nuova tv nell’era di Facebook e Twitter”. Come cambiano trasmissioni e palinsesti quando lo spettatore è sempre più partecipativo?
Trasmissioni e palinsesti sono già molto cambiati nel mercato americano. In Italia questa trasformazione sarà percepibile dalla prossima stagione televisiva. Assisteremo ad inserti di social tv che renderanno la televisione non più soltanto vista ma anche partecipata. Una partecipazione che il cittadino già vive su molti schermi. Alcune ricerche ci dicono che noi abbiamo a disposizione 5 schermi a testa (tv, tablet, smartphone, pc, notebook…). La televisione esce dalla cornice tradizionale e si posiziona su altri formati.
Ci dici sempre che in rete vince chi fa gioco di squadra. Enti locali, piccole e medie imprese, cittadini… concretezza e vicinanza ai bisogni. La rete, le web tv sembrano proprio lo strumento ideale per il volontariato. Ma quale presenza ha il Terzo settore tra le 642 web tv attive in Italia?
Il Terzo settore vive moltissimo nei palinsesti delle web tv italiane. Alcune sono addirittura tematiche, esclusivamente dedicate al terzo settore. Nel nord Italia, attraverso format dedicati e servizi giornalistici, si raccontano tante esperienze legate al volontariato. Quello che fanno le web tv è connettere il territorio. In Italia abbiamo tanti ‘territori’, tante “Italie digitali” perché la rete è lo specchio del territorio reale… Ecco che allora abbiamo numerosi canali che trasmettono e raccontano le forme più diverse del volontariato. Grazie a video e web tv il Terzo settore riesce a documentare visivamente e concretamente quelle che sono le azioni che svolge giorno per giorno. Quindi non soltanto le web tv sono uno strumento utile per informare i cittadini sulle attività del Terzo settore ma anche quest’ultimo può utilizzare le web tv per video-documentare le proprie attività.
Gaia Peruzzi, nel suo libro “Fondamenti di comunicazione sociale. Diritti, media, solidarietà” , ci spiega che la comunicazione sociale è sovversiva nella misura in cui promuove l’emersione di nuovi diritti, individuali e collettivi nella sfera pubblica. Anche questo mi spinge a notare le assonanze, gli obiettivi comuni, le possibili alleanze…
Io credo molto che la rete sia di per sé sovversiva ed anche autodisciplinata. La rete ha un potenziale enorme e la comunicazione sociale riesce a vivere in rete grazie a quello che è l’elemento cardine della rete cioè il dialogo, l’ascolto, l’empatia con il prossimo. Ed, infatti, per web 2.0 si intende proprio questo: un luogo di ascolto e dialogo costante, di condivisione di buone pratiche.
Marco Esposito sostiene che non è un dogma il fatto che web e televisione debbano farsi la guerra e chi riuscirà ad integrare i due linguaggi sarà il nuovo Bill Gates, perché il web può compensare la mancanza di partecipazione e di interazione della tv. Che ne pensi?
Il web sta spingendo gli altri media verso questa interazione, sta avendo un ruolo di pioniere rispetto a nuove forme di partecipazione. La tv tradizionale e gli altri media (radio, carta stampata, ecc.) stanno attingendo molto dai nuovi linguaggi e dai nuovi stilemi della rete. La rete sta educando e facendo saltare alcuni schemi tradizionali. Credo anche che chi fa campagne sociali, fino a poco tempo fa un po’ verticistiche ed unidirezionali, oggi grazie alla rete ha capito il valore del confronto, del dialogo. La rete ha spostato l’asticella un po’ più in alto, anche rispetto a chi opera nel Terzo settore, perché ha costretto i suoi operatori a fare i conti con l’interlocutore al quale hanno sempre guardato ma con il quale adesso possono avere un dialogo continuo.
Ma prima che la web tv diventi un’occasione persa bisognerebbe investirci. L’asta dei diritti tv può essere l’occasione per destinare una quota a queste realtà? Lo ritieni possibile?
Lo ritengo auspicabile ma non credo sarà possibile. Difficilmente si realizzerà. Un grande avvocato romano, Guido Sforza, che segue da tempo questi temi, dice che la vera battaglia per le web tv si combatterà ancora sul telecomando e non solo sul computer e sugli smartphone. Quando le web tv arriveranno ad avere il loro spazio nel televisore di casa che, ancora oggi si sta moltiplicando e sotto alcuni aspetti sta rinascendo, allora le cose cambieranno. Negli altri Paesi ci sono quote di mercato che vengono destinate all’uso della televisione da parte di enti e associazioni. In Italia si è tentato qualcosa del genere con le cosiddette tv comunitarie che nei paesi del nord Europa sono molto sviluppate, pur essendo nate oltre oceano. A San Francisco esistono delle fasce orarie in cui la people tv, la tv via cavo - quella di maggior successo in America - dedica ore di programmazione al Terzo settore, alle associazioni, alle realtà della pubblica amministrazione. In Italia questo non avviene, salvo sporadici casi, come alcuni canali del digitale terrestre in Toscana o Emilia Romagna, o qualche progetto della pubblica amministrazione. Però sono mosche bianche; in realtà su questo fronte c’è ancora molto da fare.
Nell’ultimo un anno in Italia le web tv sono aumentate dell’11%, contano 10mila addetti e un fatturato di 10 milioni di euro. Questi numeri potranno influenzare la spartizione pubblicitaria?
Ci vorrà ancora del tempo… Ma l’ecosistema digitale, complesso di per sé, sta mutando, si sta spostando. Oggi quei 10mila operatori per 10 milioni di euro sono vecchi editori di televisioni locali, sono videomaker che chiudono a causa del digitale terrestre. Il digitale terrestre è stata una mannaia, ha rafforzato poche tv extra-regionali e ha fatto fuori quelle locali, territoriali e provinciali. Perché possa avvenire una vera e propria evoluzione, deve crescere una nuova consapevolezza del mondo della pubblicità ad investire in queste realtà. La pubblicità ha aumentato l’investimento nell’online, oggi in Italia registriamo un più 6% rispetto all’anno passato, però si investe sempre nelle grandi piattaforme editoriali. Quindi il rischio per la rete è che si ripropongano i vecchi monopoli. Questo è il vero rischio, cioè che le logiche della televisione generalista, monopolistiche e verticistiche, si spostino sul web.