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Il tema

Violenza e mascolinità: una riflessione critica

La violenza di genere non è una questione di ordine pubblico alla quale dare una risposta meramente repressiva o emergenziale. Non è nemmeno una questione “da donne” nonostante veda un impegno quasi esclusivamente femminile nel suo contrasto. È un fenomeno che interroga innanzitutto gli uomini, i loro modelli di relazione e la loro sessualità.

Al centro della violenza maschile c'è il nodo della soggettività e della libertà delle donne: il riconoscimento del desiderio femminile, il riconoscimento della propria compagna come interlocutrice, il misurarsi con la libertà di scelta di una donna che se ne va. Ma nella comunicazione pubblica e nelle iniziative sulla violenza questo nodo emerge di rado: gli uomini restano invisibili e le donne sono rappresentate come soggetti deboli, da proteggere, magari da controllare.

Negli ultimi anni è cresciuta una parola maschile contro la violenza di genere. Questo impegno ha portato alla nascita dell'associazione Maschile Plurale che ha costruito dialogo e collaborazioni concrete con associazioni di donne e centri antiviolenza.
Oggi molte associazioni di donne cominciano a porsi la necessità di costruire un intervento orientato agli uomini: come e, soprattutto, con quale approccio?

Nelle campagne di comunicazione destinate agli uomini vengono riproposti, anche se provocatoriamente, l'essere veri uomini e la virilità come valori di riferimento per contrastare la violenza e il consenso sociale attorno ad essa. È di questi giorni la nascita a Roma dell'iniziativa “Colpire non è virile” promossa dall'associazione Donna e Politiche Familiari in collaborazione con il Dipartimento Nazionale Pari Opportunità. Allo stesso modo abbiamo discusso dello slogan “i veri uomini non picchiano”.

È possibile fare appello al valore della virilità per contrastare la violenza? Anche se capisco il tentativo di innovare la comunicazione, credo che non ci si possa alleare agli stereotipi per screditare socialmente la violenza. La violenza è figlia di quegli stereotipi, non è frutto di un disordine ma una paradossale conferma di un ordine gerarchico e oppressivo tra i sessi.

Il secondo piano di intervento indirizzato agli uomini è progettare servizi e programmi destinati agli autori di violenze. Si tratta di un necessario completamento della rete di intervento attorno alla violenza ma non può essere considerato esaustivo dell'assunzione dell'intervento più ampio verso gli uomini. Soprattutto non può essere considerato sostitutivo di un lavoro politico e culturale destinato alla generalità degli uomini e può risultare addirittura fuorviante e presentare alcune ambiguità.

La prima esperienza di “sportello telefonico” è quella attivata a Torino con il finanziamento della Provincia e a cura de “Il cerchio degli uomini”, a cui è seguita a Firenze il Cam-Centro di Ascolto Uomini Maltrattanti. Ma anche altre iniziative di interesse come il progetto “Femminile plurale” a Lecce, il corso per operatori promosso dalla Usl di Bologna, il progetto europeo Muvi “Sviluppare strategie di intervento con uomini che usano violenza nelle relazioni di intimità”, promosso sempre a Bologna, i cui risultati sono pubblicati nel volume Uomini che maltrattano le donne: che fare? o, non ultimo, l'intervento nel carcere di Bollate.

La discussione promossa su queste iniziative ci permette di iniziare a focalizzare alcuni aspetti. La tendenza a costruire “profili” degli uomini violenti rischia di alimentare una nuova patologizzazione e dunque rimozione del fenomeno. Al tempo stesso è necessario riflettere sul ruolo e la formazione degli operatori e su quel nesso contraddittorio e complesso che ha contraddistinto l'esperienza dei centri antiviolenza tra impegno politico, profilo professionale e empatia tra chi opera e “destinatari/e” che nel caso degli uomini violenti si presenta molto più problematico.

Non è insomma possibile la progettazione di servizi, la costruzione di campagne di sensibilizzazione senza sviluppare una riflessione critica sui modelli dominanti di mascolinità e senza farne un terreno collettivo e visibile di pratica sociale e di conflitto.

Stefano Ciccone è uno dei fondatori dell'Associazione nazionale Maschile Plurale.
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