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“Se abbandoni un animale, il problema sei tu”: il dossier

La recensione del nostro esperto di comunicazione sociale Bruno Lo Cicero sulla nuova campagna di Enpa

“Se abbandoni un animale, il problema sei tu”

Questo è il nuovo claim per la campagna 2023 di ENPA (Ente Nazionale Protezione Animali): le giornate del 1 e 2 luglio (contro l’abbandono degli animali) vedranno banchetti, iniziative, eventi, manifestazioni per sensibilizzare la popolazione sul dramma in cui versano decine di migliaia di animali da compagnia, ogni anno e tutti gli anni.

Tutti gli anni le associazioni animaliste si impegnano in questa battaglia di civiltà, e nel tempo anche personaggi famosi si sono prestati a campagne di sensibilizzazione, tutti uniti nello stigmatizzare l’abbandono, con campagne più o meno tristi, a volte difficili anche solo da guardare.

Devo dire però che anche sul tema “abbandono degli animali” negli ultimi anni si assiste ad una normalizzazione dell’immagine, meno dura che in periodi precedenti, non dico edulcorata ma quantomeno guardabile. E’ una tendenza che viene da lontano (e non solo su questo tema) forse per evitare un atteggiamento troppo ruvido, per non incrociare l’effetto-rifiuto da parte del target.

Scuole di pensiero diverse sono alla base di questi possibili trend (che peraltro hanno anche una loro ciclicità nella storia): c’è chi pensa che l’advertising debba essere duro come la verità, e chi pensa che invece debba trovare una sintesi più “morbida”, non essere troppo diretto per non rischiare che la gente si volti dall’altra parte.

Anche le campagne sull’abbandono degli animali non sembrano sfuggire a questa dicotomia: ai guardrail di autostrada, ai guinzagli strappati oggi si affiancano immagini di animali in fase giocosa, con un contributo copy (le frasi a supporto) di vario genere, ma spesso con doppi sensi dal tipico retro-gusto di simpatia.

MI piacerebbe capire se c’è (e quale sia) la strategia di comunicazione nell’uno e nell’altro caso, e se ci siano dati oggettivi (per esempio una ricerca) che ci dicano come il target preferisce essere intercettato rispetto a questi temi, con quanta durezza e linguaggio diretto voglia confrontarsi, se sia più “performante” una via o l’altra. Sarebbe utile sempre una ricerca, su questo come su altri temi dirimenti della pubblicità, per capire quali linguaggi siano più sintonici alle attese del pubblico, quali parole possano essere più efficaci.

Domani forse basteranno un questionario ed un buon software di Artificial Intelligence, per avere la campagna promozionale più efficace, così il lavoro della coppia creativa art director – copywriter  sarà sostituito dalla nuova coppia creativa sociologo-programmatore

Nel frattempo, dovremo continuare a far navigare i messaggi a tentoni, nella nebbia e senza troppa bussola, in un mare pieno di stimoli, promesse e ricatti, senza avere conto di un ritorno o di un feedback (che non siano i like menzogneri delle pagine di Facebook), una bulimia digitale in cui anche le aziende profit si fanno convincere da redemption farlocche (quando non addirittura comprate) rispetto al brand che cercano di promuovere.

Non preoccupatevi, per il momento non ci sono ricette salvifiche o algoritmi risolutori … solo tanta pazienza, coerenza e continuità nel costruire la riconoscibilità di un brand (come ENPA, per esempio), perché se non lo conosce nessuno, un brand semplicemente non esiste.

Alla prossima … e fate pubblicità.

P.s.

Anche sulla violenza di genere, la comunicazione sociale “all’italiana” continua a privilegiare l’estetica ed un linguaggio più morbido … ad essere diretti ci pensano già i telegiornali.

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