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Storie

Il modello italiano

Tratta: coniugare azione repressiva e salvaguardia dei diritti umani

I pilastri normativi su cui, a partire dalla fine degli anni ’90, si è costruito in Italia l’intervento di contrasto alla tratta hanno saputo coniugare l’azione repressiva con la salvaguardia dei diritti umani. Il riconoscimento nel nostro ordinamento di questa duplice funzione ha fatto sì che la persona ‘trafficata’ e sfruttata non fosse criminalizzata ma considerata parte offesa e soggetto da proteggere e tutelare. L’art. 18 del Dlgs. 286/98 (Testo Unico sull'immigrazione) e lart. 13 della L. 228/03 rappresentano gli strumenti concreti su cui si è costruito quel “modello italiano” riconosciuto valido ed efficace a livello internazionale.

Negli anni si è potuto pianificare un sistema di intervento che, a partire dalle denunce delle stesse vittime e dalle indagini giudiziarie, ha avviato un sistema articolato di risposta sociale e di protezione. Se inizialmente il fenomeno era visibile per lo più nell’ambito dello sfruttamento sessuale e della prostituzione, col passare degli anni si è evidenziato in contesti diversi: lavoro forzato, accattonaggio, economie illegali, matrimonio forzato. Si è inoltre capito come l’utilizzo criminale di internet e delle nuove tecnologie abbiano rinforzare il mercato.

L’impianto normativo italiano prevede che la persona che si trova in condizioni di pericolosità e di minacce abbia diritto, qualora lo decida, ad entrare in un programma di protezione sociale articolato in 4 fasi: 1) il contatto: è garantito da unità di strada che, esercitando la propria operatività sul campo, riescono a monitorare il fenomeno, a comprenderne l’evoluzione e ad intercettare l’utenza, facilitando anche azioni legate a una logica di riduzione del danno in ambito sanitario; 2) la fuga-protezione: costituisce il momento in cui è necessario individuare una soluzione abitativa ‘protetta’ capace di garantire la fuoriuscita e l’allontanamento dal circuito “prostituzionale”; 3) la prima accoglienza: è la fase in cui viene elaborato un progetto individuale che si rivolge alla persona nella sua totalità, prevedendo un sostegno concreto circa gli aspetti legali, sanitari, psicologici, culturali…; 4) la seconda accoglienza: in continuità con il periodo precedente, si  punta  alla realizzazione del progetto personalizzato e degli obiettivi che rinforzano l’autonomia della persona con una particolare attenzione alla formazione e all’inserimento lavorativo.

Queste fasi rappresentano la traccia di un percorso che, a partire dalla fuoriuscita dalla condizione di sfruttamento, punta all’inclusione socio-lavorativa grazie al riconoscimento di un particolare permesso di soggiorno. Le risorse messe in campo per la realizzazione di tutto ciò coinvolgono a vario titolo istituzioni, enti locali e terzo settore. Di fatto i territori hanno espresso reti di intervento di varia “composizione” per rispondere, da una parte, ad un sistema ancora oggi costretto in una logica “progettuale” piuttosto che in una logica di “servizio” e, dall’altra, per rinforzare la complessità della risposta.

Annualmente il Dipartimento Pari Opportunità promuove un bando per finanziare singoli progetti. Gli interventi territoriali così promossi vanno ad intrecciarsi in un quadro di azioni trasversali che vedono il Numero verde antitratta, limitato ad oggi ad una postazione nazionale, e programmi di rimpatrio protetto verso i paesi di origine.

Gabriella Mauri è operatrice del Ceis di Lucca e vicepresidente dell'associazione Trame onlus.
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