Un'associazione iscritta nel Registro Regionale del Volontariato, che opera sul territorio attraverso un centro diurno, chiede alcuni approfondimenti sulla nuova normativa sulla sicurezza degli alimenti e su chi è in grado di realizzare il Piano di Autocontrollo.
Il Regolamento CE n.852/2004 sull’igiene dei prodotti alimentari ha sostituito le direttive 93/43/CEE e 96/3/CE e, di conseguenza, ha abrogato il D.Lgs. 26 maggio 1997 n. 155, non modificando, però, lo spirito e l’intendimento di quella legge e di quelle direttive che risultano così semplicemente aggiornati.
Attualmente si fa riferimento al D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 193.
La normativa interessa tutte le aziende, anche non profit, che effettuano la preparazione, la trasformazione, la fabbricazione, il confezionamento, il deposito, il trasporto, la distribuzione, la manipolazione, la vendita, compresa la somministrazione di prodotti alimentari e si fonda sul presupposto che solo chi opera all'interno dell'impresa, è in grado di garantire interventi mirati e continuativi per eliminare o ridurre i rischi connessi e/o conseguenti alle diverse fasi di lavorazione, vendita e somministrazione dei prodotti alimentari. Non tragga in inganno il termine azienda, il Decreto specifica chiaramente che sono soggetti all’autocontrollo sanitario “ogni soggetto pubblico o privato, con o senza fini di lucro”.
La Legge contiene i seguenti aspetti rilevanti:
- tende ad assicurare la garanzia igienica dei prodotti alimentari attraverso sistemi di autocontrollo dei diversi processi alimentari (produzione, trasporto, conservazione, distribuzione, …);
- prevede che l'autocontrollo, sia realizzato secondo un metodo particolare, denominato “analisi dei pericoli e punti critici di controllo” (per i tecnici, il sistema H.A.C.C.P., dalle iniziali delle corrispondenti parole inglesi). Tale analisi si concreta in un piano di autocontrollo. E' naturale e previsto dal legislatore e dagli organi di controllo che il metodo vada adattato alle caratteristiche delle modeste strutture di produzione e distribuzione, tra le quali rientra quasi certamente anche l'associazione;
- prescrive un'adeguata formazione degli addetti: è evidente, infatti, che il metodo dell'autocontrollo non può funzionare se le persone interessate non hanno le conoscenze necessarie circa l'igiene e il trattamento degli alimenti.
L'Associazione dovrà quindi provvedere a:
- designare il responsabile per l'autocontrollo dei generi alimentari che sono somministrati o distribuiti; tale persona può essere il Presidente dell'Associazione, un quadro o dirigente del centro diurno o un'altra persona delegata dal Presidente. Il responsabile dovrà conoscere in dettaglio il proprio ‘piano di autocontrollo' e le nozioni di base di igiene degli alimenti. Sarà questa persona e non l'eventuale consulente a dover affrontare le verifiche degli organi di vigilanza e a rispondere di eventuali osservazioni;
- predisporre il piano di autocontrollo attraverso lo svolgimento dei seguenti compiti:
1) individuazione delle fasi di lavorazione/trasformazione nelle quali si possano presentare concreti rischi per l'igiene, la salubrità e la sicurezza dei prodotti alimentari;
2) individuazione delle procedure di sicurezza per le fasi a rischio, secondo il metodo HACCP;
3) tenuta ordinata di un registro contenente tutte le informazioni riguardanti i soggetti interessati e le procedure di autocontrollo poste in atto. A questo riguardo, ci si deve affidare alla propria federazione o associazione di secondo livello (se esiste e se ha predisposto linee guida specifiche per il piano di autocontrollo delle proprie associate), oppure ad un consulente privato (ad esempio: medico igienista) o pubblico (ad esempio: Dipartimento Universitario) per la stesura del relativo piano di autocontrollo; - realizzare idonei interventi formativi degli addetti: anche in questo caso può essere utile affidarsi all'esterno.