Avrei bisogno di un consiglio in merito ad associare di nuovo una persona che in passato ci ha creato grosse difficoltà andando sui media a parlare non correttamente di alcuni soci e ricercatori del nostro comitato scientifico. Dopo diverse diatribe, la persona in questione ci ha chiesto di essere cancellata dalla nostra associazione e di cancellare tutti i suoi dati in nostro possesso, cosa che abbiamo immediatamente fatto. Ora, dopo alcuni anni, ci chiede di essere riammessa nell'associazione ma temiamo che si possano riverificare i soliti problemi visto che il nostro statuto recita testualmente: "L’assemblea é costituita da tutti gli iscritti all’associazione. ….. L’ammissione di nuovi soci é deliberata dal consiglio direttivo". Possiamo non accettare la sua iscrizione? Se si, dobbiamo motivare la nostra scelta?
Si premette che la c.d. ‘cancellazione’ dall’Associazione implica una dichiarazione o domanda di recesso presentata in forma scritta da parte del socio, a norma delle disposizioni statutarie, una successiva ed apposita deliberazione presa dal Consiglio direttivo e, infine, la cancellazione vera e propria dal Libro soci del socio recedente. Verificato che tutti questi passaggi sono stati correttamente effettuati, la persona in questione non fa effettivamente più parte della compagine associativa, quindi non è più realmente socia dell’Associazione. Anche se l’Atto costitutivo o lo Statuto dell’Associazione non prevedono un’apposita disciplina sulla possibilità di rigetto della domanda di ammissione da parte di un aspirante socio, si ritiene che non esista, secondo l’opinione prevalente, un vero e proprio diritto del singolo (aspirante socio) ad entrare a far parte di una associazione, anche se in possesso dei requisiti indicati dallo statuto, e non esiste un obbligo dell’associazione di accogliere le domande di ammissione presentate da chi si dimostri in possesso di tali requisiti. L’ammissione è infatti non altro che un contratto tra l’associazione e l’aspirante socio, che si conclude solo se entrambe le parti sono d’accordo. Naturalmente, anche se non espressamente previsto nelle disposizioni statutarie, il Consiglio direttivo dovrà senza indugio (tempestivamente) comunicare per scritto (meglio per raccomandata) alla richiedente il diniego motivato (e le motivazioni riteniamo ci siano in riferimento agli eventi passati) della nuova richiesta di adesione all’Associazione. Pertanto, anche se la persona si rivolgesse ad un giudice per ottenere una sentenza che condanni l’associazione a ri-ammetterla nella compagine associativa, avrebbe scarse probabilità di accoglimento della sua domanda. Non sembra poter modificare tale conclusione la necessità della “democraticità della struttura” dell'associazione di volontariato, che si riferisce, ai rapporti tra coloro che sono già soci, e non può comportare un dovere di comportarsi “democraticamente” e ammettere chiunque ne faccia richiesta.