Il Codice del terzo settore ha introdotto una più ampia gamma di strumenti per coprogettare, coprogrammare e gestire in convenzionamento servizi di interesse generale; applicando con coerenza il principio di sussidiarietà. Tuttavia il parere del Consiglio di Stato (il n. 2052, reso dalla Commissione speciale di Palazzo Spada il 20 agosto 2018), arretrando il potenziale di una nuova stagione di collaborazione fra pubblica amministrazione e enti del terzo settore indica – con piglio conservativo – l’unica via della gara d’appalto.
Nei giorni scorsi il “Club degli amici dell’articolo 55”, a cui aderiscono giuristi, economisti, ricercatori ed esperti, ha diffuso il documento "Il diritto del terzo settore preso sul serio”, in cui si chiede una correzione delle incongruenze e delle mancanze espresse dalla giustizia amministrativa. Obiettivo: esortare l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) ad aggiornare le proprie Linee Guida nel rispetto (reale) del diritto e delle specificità del terzo settore.
“In generale – recita il documento – l’affermata primazia del diritto euro-unitario sul diritto interno appare particolarmente incongrua perché ancorata, con incomprensibile certezza, a una visione mercantilistica, declinata esclusivamente sul principio di tutela della concorrenza, finendo per imporre quest’ultimo anche alle forme di collaborazione tra organismi pubblici e privati che perseguono obiettivi simili se non coincidenti”.
Ma soprattutto non si tiene conto di un altro basilare principio comunitario, quello solidaristico, che trova la sua espressione proprio nella direttiva n.24/2014, recepita con il d.lgs.n.50/2016. Tale disposizione, infatti, non impone alcun obbligo agli Stati membri di adottare misure pro-concorrenziali in tutti i settori.
“La visione che individua l’unico strumento relazionale nel contratto d’appalto, secondo la logica della competitività, da un lato priva la pubblica amministrazione dell’apporto originale che può essere fornito dagli enti inseriti in un procedimento di collaborazione, ma soprattutto la priva della possibilità di conseguire risparmi di spesa derivanti dall’apporto materiale degli enti medesimi all’implementazione degli interventi, con conseguente lesione di un altro principio di rilevanza eurounitaria, la tutela degli equilibri di bilancio, recepito negli articoli 81, 97 e 119 Cost”.
Considerazioni che evidenziano la necessità di distinguere fra l’evidenza pubblica propria delle procedure disciplinate dal Codice dei contratti pubblici e l’evidenza pubblica propria dell’affidamento dei servizi, secondo modalità diverse dall’appalto e dalla concessione, ma comunque rispettose dei principi di trasparenza, pubblicità e di parità di trattamento.
Ciò che si vuole palesare è il vizio di fondo: non c’è una gara fra contendenti, da una parte, e stazione appaltante, dall’altra, bensì l’attivazione di un partenariato collaborativo tra soggetti con obiettivi simili e in cui tutti apportano proprie risorse. Nel rispetto, s’intende, di una o più attività di interesse generale, quindi non lucrative. Emerge così, scrivono i firmatari,
“un autonomo e solido fondamento costituzionale degli istituti disciplinati dal Titolo VII del Codice del Terzo settore, distinto da quello del Codice dei contratti pubblici”.
Ma la svista può essere corretta, riabilitando una specificità – quella degli enti del terzo settore – oggi a rischio appiattimento.
“L’aggiornamento da parte dell’ANAC delle proprie Linee Guida n. 32/2016 sugli affidamenti agli enti di Terzo settore – è la chiosa del documento – rappresenta una prima occasione decisiva affinché il diritto del terzo settore sia davvero preso sul serio”.
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