Recentemente uno speciale sul settimanale “Vita” ha illustrato lo scenario che si prospetta all'apertura all'Anno europeo del volontariato, che sarà inaugurato nel nostro paese a Venezia il 1 aprile. La Commissione Europea non solo utilizzerà tutti gli otto milioni di euro destinati dall'Unione alla sensibilizzazione dei cittadini sull'importanza del volontariato, ma sembra intenzionata a prendere di petto le questioni più rilevanti e ancora oggi irrisolte.
In primo luogo si manifesta la volontà di superare il problema di come garantire un quadro giuridico comune che in tutta l'Unione possa riferirsi al volontariato: si pensi che, con accezioni peraltro non sempre identiche, esiste una normativa sul volontariato in soli 16 paesi su 27. La definizione di un istituto giuridico comune consentirebbe inoltre di risolvere anche problematiche accessorie ma tutt'altro che irrilevanti sul piano pratico: basti solo pensare a tutto il tema delle assicurazioni dei volontari.
In secondo luogo, si evidenzia la necessità di arrivare al riconoscimento economico del lavoro prodotto dai volontari nei progetti europei attraverso l'introduzione della possibilità – finora negata – di mettere a budget il lavoro volontario come cofinanziamento. Un passaggio questo che sarebbe determinante anche per arrivare a riconoscere il volontariato quale parte integrante di un percorso formativo da valorizzare in ambito professionale od universitario.
Infine, il terzo aspetto su cui l'Unione intende introdurre elementi di novità, è rappresentato dalla quantificazione e misurazione del lavoro volontario, un punto questo che assume un rilievo strategico e condiziona anche i precedenti: infatti la misurazione dell'apporto del volontariato consentirebbe di elaborare statistiche comuni e comparabili in tutti i paesi dell'Unione. Così facendo si verrebbe a superare un limite degli attuali studi statistici rappresentato dal fatto – come dice Lester Salomon - che in essi il volontariato è “considerato al di fuori di ciò che si chiama la frontiera di produzione dell'economia”. Ma tale passaggio avrebbe la sua importanza soprattutto sul versante politico e culturale: esso consentirebbe, infatti, alla classe politica e dirigente degli stati membri di rendersi conto, cifre alla mano, del peso complessivo del volontariato sul Pil nazionale. Ciò aprirebbe gli occhi ai governi su un aspetto decisamente importante quando vengono impostate le politiche di intervento nella attuale fase di crisi economica.
Paolo Balli è direttore di Cesvot.
In primo luogo si manifesta la volontà di superare il problema di come garantire un quadro giuridico comune che in tutta l'Unione possa riferirsi al volontariato: si pensi che, con accezioni peraltro non sempre identiche, esiste una normativa sul volontariato in soli 16 paesi su 27. La definizione di un istituto giuridico comune consentirebbe inoltre di risolvere anche problematiche accessorie ma tutt'altro che irrilevanti sul piano pratico: basti solo pensare a tutto il tema delle assicurazioni dei volontari.
In secondo luogo, si evidenzia la necessità di arrivare al riconoscimento economico del lavoro prodotto dai volontari nei progetti europei attraverso l'introduzione della possibilità – finora negata – di mettere a budget il lavoro volontario come cofinanziamento. Un passaggio questo che sarebbe determinante anche per arrivare a riconoscere il volontariato quale parte integrante di un percorso formativo da valorizzare in ambito professionale od universitario.
Infine, il terzo aspetto su cui l'Unione intende introdurre elementi di novità, è rappresentato dalla quantificazione e misurazione del lavoro volontario, un punto questo che assume un rilievo strategico e condiziona anche i precedenti: infatti la misurazione dell'apporto del volontariato consentirebbe di elaborare statistiche comuni e comparabili in tutti i paesi dell'Unione. Così facendo si verrebbe a superare un limite degli attuali studi statistici rappresentato dal fatto – come dice Lester Salomon - che in essi il volontariato è “considerato al di fuori di ciò che si chiama la frontiera di produzione dell'economia”. Ma tale passaggio avrebbe la sua importanza soprattutto sul versante politico e culturale: esso consentirebbe, infatti, alla classe politica e dirigente degli stati membri di rendersi conto, cifre alla mano, del peso complessivo del volontariato sul Pil nazionale. Ciò aprirebbe gli occhi ai governi su un aspetto decisamente importante quando vengono impostate le politiche di intervento nella attuale fase di crisi economica.
Paolo Balli è direttore di Cesvot.