In occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne pubblichiamo una riflessione sui numeri e sui nuovi bisogni intercettati a causa della pandemia Covid19, che ha acuito situazioni di vulnerabilità e disuguaglianza. Il focus, con particolare attenzione ai dati della Toscana, provenienti dal dodicesimo Rapporto dell’Osservatorio regionale sulla violenza di genere, apre una ulteriore prospettiva sui dati nazionali raccolti durante i mesi della fase 1 di lockdown.
La violenza sulle donne in Toscana
Dai dati del Rapporto dell’Osservatorio regionale in Toscana, nel periodo che va dal 2006 al 2019, si contano 117 femminicidi, prima causa di omicidio di donna. Negli ultimi 12 mesi 5 sono le donne uccise per motivi di genere, 3 delle quali oltre i 70 anni.
In Toscana sono presenti 24 Centri antiviolenza, con una presenza capillare di sportelli territoriali che determina 95 punti di accesso sull’intero territorio regionale. Le operatrici che lavorano all’interno delle 23 case rifugio toscane sono 312, mentre le volontarie sono 158.
Dal 1 luglio 2010 al dicembre 2019 si sono rivolte ai Centri antiviolenza presenti in Regione Toscana 26.004 donne. Dal 2015 le donne che si sono rivolte a un Centro antiviolenza per la prima volta sono aumentate costantemente passando da 2.440 a 3.606 nel 2019.
Chi sono le donne che si sono rivolte al Centro antiviolenza negli ultimi dodici mesi? Come nei periodi precedenti, anche nel 2019 a iniziare un percorso di uscita dalla violenza sono soprattutto donne italiane, di età compresa tra i 30 e i 49 anni, con un titolo di studio superiore. Se il numero di minorenni è troppo basso per evidenziare delle tendenze stabili, nell’ultimo anno si registra un aumento delle donne con meno di 18 anni, segno anche di una maggiore consapevolezza di reato diffusa tra i giovani grazie all’opera di prevenzione.
L’instabilità economica è un elemento che incide notevolmente sulla decisione di uscire da una relazione violenta, a prescindere dal livello culturale o dal benessere del nucleo familiare. Oltre il 40% delle donne non ha alcun tipo di reddito, percentuale che sale al 51,6% tra le straniere.
Ad agire violenza nei confronti delle donne che si rivolgono ai Centri sono soprattutto i partner, seguiti dagli ex partner. La violenza domestica coinvolge tutto il nucleo familiare: più della metà delle donne che si è rivolta ai Centri negli ultimi dodici mesi (57,3%) ha almeno un figlio o una figlia. Il 60% delle donne afferma che i figli hanno subito una qualche forma diretta di violenza, percentuale che sale tra le donne straniere (66,7%).
Complessivamente le donne che si sono rivolte ai Centri e hanno dichiarato, al momento dell’accesso, di aver sporto denuncia nel 2019 sono state il 31,3% del totale.
I dati sui Centri per uomini maltrattanti
Altro dato interessante presente nel rapporto riguarda il monitoraggio dati dei Centri per uomini autori di violenze. Da giugno 2016, il numero di uomini che ha effettuato l’accesso a uno dei cinque Centri sul territorio regionale è decisamente cresciuto. Nel 2019, sono, infatti, 211 gli uomini che hanno effettuato l’accesso presso uno dei centri toscani, numero che quasi equipara la somma dei contatti dei tre anni precedenti. Un quinto degli uomini accede ai percorsi su base strettamente volontaria mentre la quota di segnalazioni da un attore pubblico cresce, passando dal 49 al 61,6%. Il 77,2% degli uomini ha nazionalità italiana, oltre il 50% ha un’età compresa tra i 30 e i 49 anni.
Il focus del Rapporto sui servizi dei centri antiviolenza toscani in emergenza Covid
Tema su cui il rapporto dell’Osservatorio regionale ha effettuato uno specifico focus è quello della gestione dei servizi dei centri antiviolenza durante l’emergenza epidemica da Covid-19, considerando che le misure di confinamento potevano avere un forte impatto sulle donne vittime di violenza. Dai dati Istat ripresi dal rapporto il numero di donne toscane che si è rivolto ad un Centro antiviolenza nei primi cinque mesi del 2020 non si discosta di molto dall’anno precedente: 2.551 furono le donne accolte da gennaio a maggio 2019, 2.511 sono state quelle del 2020. Durante il periodo del lockdown nessun centro ha interrotto i propri servizi, seppur introducendo alcune modifiche, nel rispetto della normativa: tutti hanno attivato colloqui telefonici e videochiamate, la maggior parte (19 su 24) ha utilizzato anche comunicazione via mail e canali social ed ha modificato le modalità di incontro con le donne rispettando le misure di distanziamento e protezione. La maggior parte delle Case rifugio (17 su 23) ha dovuto mettere a punto nuove strategie per l’allontanamento della donna, mentre solo in 4 casi sono state attivate da parte delle Prefetture nuove forme di accoglienza delle donne
Il rapporto condivide interviste e testimonianze delle operatrici che raccontano delle difficoltà legate al necessario adattamento dei servizi ma anche della grande capacità di rete e programmazione immediata con modalità comunicative innovative, per scongiurare qualsiasi tipo di isolamento che potesse investire le donne vittime di violenza in cerca di aiuto e lanciare chiaro un messaggio di supporto e di presenza sul territorio.
In Italia
Aumentano i femminicidi nel 2020
Nel 2020 secondo il report del Servizio analisi criminale interforze del Ministero dell’Interno, nei primi sei mesi dell’anno è calato il numero degli omicidi in Italia, ma è aumentato quello dei femminicidi. La violenza di genere è aumentata durante il periodo di lockdown. Sono state 59 le donne uccise nel primo semestre del 2020, il 45% degli omicidi totali.
Le richieste di aiuto raccolte durante il lockdown dal 1522
Secondo l’analisi dei dati Istat raccolti tra marzo e giugno 2020 il numero delle chiamate telefoniche e delle richieste inviate tramite chat al numero verde 1522 contro violenza e stalking, sono più che raddoppiate rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+119,6%), passando da 6.956 a 15.280. Quintuplicate le richieste di aiuto tramite chat, passate da 417 a 2.666. Nel periodo marzo - aprile 2020, l’incidenza delle chiamate al 1522 sulla popolazione evidenzia una crescita delle telefonate in particolare nel Lazio e in Toscana, che passano rispettivamente da 6,8 per 100 mila abitanti del 2019 a 12,4 e da 4,8 a 8,5 per 100 mila abitanti.
Il 45,3% delle vittime ha paura per la propria incolumità o di morire. Nel 93,4% dei casi la violenza si consuma tra le mura domestiche, nel 64,1% si riportano anche casi di violenza assistita. Il 56% delle richieste di aiuto arriva da parte di vittime con figli e il 33,7% da parte di vittime con figli minori.
L’attività dei centri antiviolenza durante il lockdown
Si è conclusa il 4 maggio, a circa un mese dal suo avvio, l’instant survey “I centri antiviolenza ai tempi del coronavirus” curata dalle ricercatrici e dai ricercatori del Progetto ViVa, frutto dell’accordo di collaborazione tra Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri (DPO) e l’Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IRPPS) e rivolta ai Centri antiviolenza attivi sul territorio italiano.
Quello che emerge dalla rilevazione è un sistema di intervento a supporto delle donne vittime di violenza che ha saputo articolare in un tempo complessivamente breve risposte nuove ed efficaci ai bisogni delle donne, conciliando la continuità del supporto con le esigenze di tutela della salute, nonostante le tempistiche serrate e l’eccezionalità delle misure di contenimento adottate.
L’emergenza sanitaria ha posto i centri antiviolenza di fronte alla necessità di dover reimpostare in modo sostanziale le modalità operative. L’89% dei centri intervistati ha infatti lavorato esclusivamente o prevalentemente in remoto, tramite telefono, e-mail, software di videochiamata. Il 37% dei centri ha indicato difficoltà connesse alle forniture di strumenti tecnologici adeguati.
Le richieste dei centri antiviolenza nazionali
Per quanto riguarda le richieste di sostegno espresse dalle donne l’ascolto telefonico, la consulenza psicologica e la consulenza ed assistenza legale si caratterizzano anche durante l’emergenza come il focus dell’azione di supporto dei centri.
L’ospitalità in emergenza che implica l’allontanamento della donna dalla propria abitazione e il suo eventuale inserimento in una struttura protetta è considerata tra le aree più problematiche di gestione. Il 59% identifica l’ospitalità in emergenza come ambito più critico e il 42% sottolinea la difficoltà di garantire il distanziamento sociale all’interno delle strutture di ospitalità.
Alla luce di questi dati, non stupisce che tra le richieste alle istituzioni il 65% delle strutture intervistate individui prioritariamente l’assegnazione di maggiori risorse economiche ai centri antiviolenza e alle strutture di ospitalità e il 36% l’incremento delle strutture di ospitalità attive sul territorio.
Foto in alto di Ferdinando Tononi - Progetto Fiaf CSVnet - Tanti per tutti viaggi nel volontariato