La Federazione italiana degli organismi per le Persone Senza Dimora (Fiopsd) è una organizzazione nazionale di secondo livello che associa circa 100 organizzazioni, pubbliche e private, che in Italia si occupano in modo prevalente di grave emarginazione adulta e persone senza dimora. Tra le principali attività che la federazione porta avanti da trenta anni il tentativo di far assumere consapevolezza alle istituzioni, alla società civile ed alla cittadinanza circa le reali dimensioni e le cause di questo fenomeno, spesso misconosciuto e oggetto di visioni stereotipate e sul quale, sino al 2012, l’Italia non aveva informazioni e statistiche ufficiali.
Oggi questa lacuna è in parte colmata, grazie ad un percorso di ricerca durato quattro anni e voluto da Fiopsd, che lo ha condotto, dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e da Caritas Italiana, che lohanno finanziato e sostenuto, da Istat, che lo ha scientificamente gestito. La ricerca sulle persone senza dimora ed i servizi loro dedicati, i cui risultati sono disponibili sul sito Istat, ha rivelato un quadro che contribuisce a demolire molti pregiudizi diffusi in questo campo.
Anzituttole persone senza dimora non sono poche: in Italia è senza dimora lo 0,2% dell'intera popolazione residente, quasi 50.000 persone, con percentuali simili a quelle dei Paesi avanzati. La geografia è varia: 18.456 persone sono senza dimora nel Nord-Ovest del Paese, 10.878 al Centro, 9.362 nel Nord-Est, 8.952 al Sud e nelle Isole. Milano è la “capitale italiana” della homelessness con 13.115 senza dimora, l'1% della popolazione metropolitana. Roma è seconda, con lo 0,3% della popolazione, pari a 7.827 persone senza dimora, e Palermo terza, con 3.829 persone senza dimora (60% stranieri).
Le donne sono meno degli uomini, con6.237 presenze, il 13% del totale. I senza dimora sono giovani: l'età media è 42,2 anni; 24.703 homeless, più della metà, hanno meno di 45 anni. Stranieri e italiani quasi si equivalgono: 28.323 persone senza dimora sono straniere (59,4%). La mancanza di titolo di studio conta: due terzi hanno conseguito al massimo la licenza media inferiore e quasi il 10% non ha titoli di studio ed è analfabeta o quasi. Ma non è così per gli stranieri: quasi il 10% è laureato, il 43,1% ha un diploma di scuola media superiore.
La permanenza nello stato di grave emarginazione è lunga, troppo lunga, specie per gli italiani: 2,5 anni è la durata media della condizione di homelessness; oltre il 25% delle persone senza dimora italiane sono tali da 4 anni o più, e 2000 di loro hanno più di 65 anni. In Europa si considera homeless di lungo termine, a rischio di cronicizzazione, chi permane in questa condizione oltre 12 mesi. Prima di arrivare alla strada una dimora autentica l’avevano in molti: il 63,9% prima di divenire senza dimora aveva una casa propria. Non è vero quindi che si tratta di persone “disabituate” ad una vita “normale”.
Inoltre le persone senza dimora non sono asociali: solo il 9,3% della popolazione senza dimora ha difficoltà ad interagire con gli altri. Manca il lavoro, non la capacità o la volontà di lavorare: il 28,3% delle persone senza dimora ha un lavoro, quasi sempre precario o saltuario, e guadagna in media 347 euro al mese. Solo il 6,7% non ha mai lavorato; più del 25% ha avuto in precedenza lavori stabili e regolari. La rottura della famiglia incide molto: il 53,2% delle persone senza dimora è diventato tale dopo una separazione coniugale. Il 64% ha avuto un coniuge e dei figli ma il 75% vive solo e solo il 58,6% mantiene qualche forma di contatto con la famiglia.
A fronte di un tale quadro il sistema dei servizi non regge. Solo la metà dei bisogni primari espressi trova una soluzione, spesso emergenziale. E queste soluzioni per oltre il 50% sono messe in campo, finanziate e mantenute con sole risorse private, prevalentemente del terzo settore e del volontariato, formale e informale, essendo i contributi pubblici in grado di provvedere solo a una minima parte delle esigenze. La strada è quindi spesso l’unica possibilità: più del 70% delle persone senza dimora dormono comunemente in strada o in stazione.
Solo le mense sembrano accessibili: accedono alle mense il 90% delle persone senza dimora, ai dormitori solo il 35%; il 55,4% degli stranieri senza dimora non ha mai avuto accesso ad un dormitorio. Si tratta sempre e comunque di servizi di emergenza, che difficilmente danno accesso a percorsi di inclusione più ampi e articolati.
La salute è un diritto praticamente negato: il 20% delle persone senza dimora ha gravi problemi di salute. In generale anche il diritto all’alloggio e ad una vita dignitosa paiono difficilmente accessibili per le persone senza dimora, condannate, dall’attuale assenza di livelli essenziali di assistenza sociale esigibili a una vita precariamente dipendente dalla buona volontà locale dei soggetti che di loro si occupano, la cui presenza è peraltro concentrata nel centro-nord.
Per sconfiggere la grave emarginazione occorrono certamente politiche dedicate, ma occorre anche un sistema universale di welfare che offra garanzie minime, come un reddito di inserimento sociale o l’esigibilità del diritto all’alloggio, che oggi l’Italia non ha. E’ in questa direzione, della quale possono beneficiare tutti, che è necessario muoversi. C’è una popolazione grande come la città di Mantova che lo richiede ogni giorno, la cui vita è quotidianamente messa in pericolo dall’indigenza, e che sta aumentando visibilmente. Non la si può abbandonare a sé stessa.
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