Cresce l’attenzione per il monitoraggio dell’agricoltura sociale, considerato un tema da approfondire per il 2022, come ha spiegato a Repubblica il direttore Istat per le statistiche ambientali e territoriali, Sandro Cruciani.
Per la prima volta infatti il censimento dell’agricoltura Istat ha inserito l’agricoltura sociale (As) nel questionario distribuito alle aziende, adeguandosi alle regole europee, con l’intento di approfondire aspetti quali la connessione dell’As ad attività multifunzionali, il genere e l’età del conduttore dell’azienda, dimensioni delle realtà e localizzazioni territoriali.
Il CREA - Centro Politiche e Bioeconomia ha realizzato un'indagine a livello nazionale per raccogliere informazioni sulle caratteristiche delle realtà operative di As. Si tratta di un'indagine volontaria a cui hanno risposto complessivamente 115 soggetti.
Le realtà censite sono di recente costituzione; il 45% è stato costituito negli ultimi dieci anni . (Fonte CREA).
L’indagine rivela che l’attività principalmente svolta dalle realtà di As riguarda l’inserimento socio-lavorativo realizzato dal 74% del campione. Si tratta di una conferma di quanto già evidenziato dai principali studi realizzati, secondo i quali l’agricoltura sociale italiana può essere definita di tipo inclusivo differenziandola da quella di tipo terapeutico che caratterizza principalmente i paesi del Nord Europa. La Toscana è stata una delle prime Regioni italiane a legiferare in materia di As. È del 2010, infatti, la legge regionale n. 24 recante “Disposizioni in materia di agricoltura sociale”, con la quale l’As è stata promossa come ulteriore strumento per l’attuazione delle politiche sociali integrate.
Frutto dell’interesse per le tematiche di As nella storia di Cesvot, segnaliamo il progetto del 2014 nato in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa, che ha attivato un percorso di mappatura e scambio delle buone prassi per sostenere le associazioni di volontariato della Toscana nella realizzazione di progetti nell’ambito dell’As. Grazie al percorso, al quale hanno partecipato 64 associazioni toscane, sono state realizzate una serie di linee guida, pubblicate nel Quaderno "L'innovazione in agricoltura sociale", che offrono alle associazioni indicazioni concrete per attivare una rete sul territorio e realizzare attività di As. |
L'esperienza di Calafata
(Foto di Cooperativa Agricola Sociale Calafata)
È il 2011 e Calafata nasce da una sfida che è già raccolta nel suo nome. La parola infatti deriva da un termine marinaro, che indica un tipo di stuccatura degli antichi scafi delle navi in legno, che così potevano di nuovo navigare con una seconda vita dalla loro parte.
Calafata nasce dall’incrocio di diversi bisogni del territorio: da una parte, la richiesta di aiuto di una persona che non riusciva più a gestire il vigneto di famiglia ubicato nella zona di pregio della Maolina, sulle colline lucchesi; dall’altra, Caritas Lucca che intercettava dai propri centri di ascolto una crescente fragilità sul territorio legata alla mancanza di lavoro.
“Ci prendemmo un anno per pensare a come reagire finché il proprietario del vigneto decise di metterlo a disposizione della parrocchia. Decidemmo così di far nascere la Cooperativa Agricola Sociale Calafata. Fra gli obiettivi che ci siamo subito dati: restituire attraverso il lavoro dignità, occasioni, spazi e possibilità di espressione a chi ha attraversato momenti complessi della propria vita e che altrimenti continuerebbe a trovarsi in difficoltà” spiega Marco Bechini, direttore di Calafata.
Le attività di Calafata consentono di ampliare il tipo di lavoro classicamente svolto dalle cooperative sociali, includendo nei programmi e nelle attività non soltanto persone fragili provenienti da programmi terapeutici di salute mentale, da dipendenze da gioco, stupefacenti o alcool, dal carcere, invalidi civili ma anche chi affronta altri tipi di disagio come il contesto attuale sempre più sottolinea.
“Ci rivolgiamo a tutti quelli che stanno uscendo da un periodo riabilitativo della propria vita e sono in cerca di indipendenza e autonomia con la garanzia della tutela dalla loro parte. Durante l’emergenza migranti abbiamo accolto tanti richiedenti asilo, accogliamo tante persone che hanno perso il lavoro e cercano di ricominciare” spiega Marco Bechini, direttore di Calafata.
Per l’impegno dimostrato con i rifugiati l’Unhcr ha assegnato alla Cooperativa Calafata di Lucca nel 2020 il logo «Welcome. Working for refugee integration» come riconoscimento del «rilevante impegno dimostrato nella promozione di interventi specifici per l’inserimento lavorativo dei rifugiati» (ndr).
Vino, olio, verdure e frutta da campo nei 10 ettari di terreno recuperati dal rischio dell’incuria con metodi biologici e biodinamici sono il centro operoso di Calafata che lavora anche con G.a.s (Gruppi di acquisto solidale), mercati contadini, che permettono di realizzare il maggior numero di inserimenti lavorativi provenienti da categorie protette grazie alla continuità stagionale, nonché svolgendo servizi di manodopera specializzata per potature, legature, raccolte e confezionamenti, tagli erba e manutenzioni varie. “Lavoriamo in staff, abbiamo studiato le esperienze intorno a noi prima di cominciare e quello che abbiamo voluto fare è stato togliere il “camice bianco”, che per noi significa certo avere sempre contatti e supporto con il personale sanitario ma lavorare insieme in ottica inclusiva, alla pari, imparando gli uni dagli altri. Capitano le ricadute, capitano le crisi, le persone non vanno lasciate sole”, aggiunge Bechini.
Tra i capitoli più recenti, il progetto di cooperativa di comunità che coinvolge persone immigrate selezionate tramite enti sprar, scuole, studenti e altri soggetti. Il focus è sul cibo, tutto parte dal progetto circularity food all’interno del quale Calafata ha animato i tavoli di comunità sul territorio. “Conserve” è un laboratorio di trasformazione e confezionamento per alimenti che ha l’obiettivo di ridurre lo spreco da merci invendute, ha la possibilità di lavorazione per conto terzi, valorizza i cibi locali e la didattica alimentare consapevole”.
“Non si tratta solo di favorire l’inserimento lavorativo ma di sostenere la crescita delle persone. Vorrei che nascessero molte Calafata sul territorio, aziende agricole multifunzionali che vadano al di là della produzione primaria, riuscendo a diventare un vero e proprio strumento che parla e legge la comunità. L’As è uno strumento che va difeso in termini di welfare, innovazione sociale e di beneficio per la società civile intera. Raccogliamo storie speciali, per avere l’opportunità di accoglierle al meglio, dobbiamo sempre più progettare il futuro insieme a enti e istituzioni, far conoscere sempre più le nostre peculiarità” conclude Marco Bechini.
L'esperienza di Casa Ilaria
(Foto collage di Casa Ilaria)
In un luogo con più di 1000 anni di storia, La Badia di Carigi al centro di un importante intervento di restauro e di recupero, cresce sempre più il progetto di Casa Ilaria, esperienza multifunzionale di As sulle colline di Palaia. L’intero complesso prende il nome dall’antico convento benedettino fondato nel 1100 al confine tra la diocesi di Lucca e Volterra e sorge su un lieve poggio, che domina un terreno agricolo di dodici ettari, delimitato da un corso d’acqua e filari di alberi.
La Fondazione Casa Ilaria nasce su iniziativa dell’Associazione Noi per l’Africa e il Mondo con lo scopo di tutelare la mission del progetto Casa Ilaria e con l’intento specifico di mantenere viva la memoria di Suor Ilaria Meoli.
“Suor Ilaria Meoli era un medico infettivologo in Africa attiva nella cooperazione internazionale. L’associazione sostiene progetti in tante parti del mondo e abbiamo pensato di allargare le nostre attività anche al nostro territorio, che è lo stesso che ha visto nascere e crescere Suor Ilaria” racconta Laura Capantini, presidente della Fondazione.
Il pensiero di Suor Ilaria e del suo spirito di servizio verso le persone più fragili ed emarginate è al centro della scelta che porta lo spazio di Casa Ilaria a diventare uno spazio di accoglienza e inserimento lavorativo e sociale per persone con disabilità sensoriale psichica e fisica, disagio mentale e svantaggio sociale.
A Casa Ilaria si pratica agricoltura biologica sociale: una parte del terreno è destinato a seminativo e frutteto, una parte è stata destinata ad orto-giardino, che produce verdure di stagione certificate bio, coltivate e raccolte da persone in situazione di svantaggio o con disabilità sotto la guida di esperti del settore e volontari. L’orto-giardino è inspirato alla filosofia della coltivazione sinergica, costruito in modo circolare, completamente accessibile.
"Ognuno traffica con il suo talento, ognuno fa fiorire le sue risorse"
Dall’orto al frutteto, i progetti di Casa Ilaria si allargano anche alla ristorazione con “Ristor-Azioni” percorso formativo per l’inserimento occupazionale e lavorativo di persone adolescenti e giovani adulte con sindrome dello spettro autistico e un buon funzionamento generale, che risponde al loro bisogno di integrazione sociale, nella prospettiva della costruzione di un progetto di vita che ne valorizzi le potenzialità e le capacità di autonomia.
In attesa del completamento della costruzione di Casa Ilaria, del suo ristorante e delle sue strutture di accoglienza, Ristor-Azioni si realizza presso il Ristorante Il Cavatappi Wine Food di Calcinaia.
Dalla ristorazione allo street food, durante la pandemia Casa Ilaria ha inaugurato anche “Agri social food”, prodotti a Km 0 con servizio a domicilio a bordo di un’ape. Il progetto si è classificato al quinto posto a livello nazionale al concorso “Coltiviamo agricoltura sociale 2020” di Confagricoltura.
“Casa Ilaria è per noi una sfida in cui costruiamo una casa per tutti, cuciamo su misura percorsi di accoglienza, inseriamo fragilità diverse. La vulnerabilità è una condizione umana, ognuno di noi porta dentro di sé una ferita e se accolta rende esperienze nutritive per tutti e ci aiuta a stare al mondo. Poniamo l’accento sulle risorse e non sulla fragilità, ognuno può portare qualcosa di prezioso per l’altro” racconta Laura Capantini che prosegue:
“La pandemia ci ha segnato con l’isolamento sociale. Quello che ci ha più disorientato è stato avere il tempo congelato, dover fermare i nuovi inserimenti per 5 mesi. Siamo immersi in un luogo che ha 1000 anni di storia, questo ci ricorda ogni giorno che bisogna credere non solo nei progetti tecnici ma in ciò che nutre la nostra immaginazione e creatività”.
Foto in alto di Federico Barattini - Progetto Dafne - Cif Carrara