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Il racconto di un giovane volontario Sve in Ungheria

Mi chiamo Emanuele Avenia*, sono un volontario italiano che sta attualmente svolgendo il suo Servizio Volontario Europeo a Budapest presso l’organizzazione ospitante Multikultura Egyesulet le cui attività sono rivolte principalmente a rifugiati, adolescenti e bambini con problematiche e minoranze.

Ho trascorso la mia prima settimana a Budapest presso il centro giovanile gestito da Multikultura; questa organizzazione svolge numerose attività come ad esempio l’insegnamento di una lingua straniera a bambini e adulti oltre all’organizzazione di attività di dopo-scuola per bambini. Nell’ambito dello svolgimento di queste attività, il gruppo dei volontari Sve affianca gli operatori del centro. Durante le nostre giornate passate al centro, il servizio riguardava il supporto degli operatori nell’organizzazione di attività creative, la partecipazione a corsi di inglese e ungherese e il supporto in altri progetti di aiuto e sostegno per i bambini. Nelle nostre attività siamo stati fortemente incoraggiati a mettere in pratica le nostre idee.

Nel mio primo mese a Budapest ho svolto attività con una volontaria Sve turca con cui mi sono divertito molto. Nessuno di noi aveva idea di come fosse il lavoro, ma lentamente con l’aiuto degli operatori siamo stati in grado di completare il nostro primo progetto e creare un legame con i bambini del centro che penso sia vitale, visto che la prima volta che sono arrivato a Multikultura non parlavo nemmeno una parola di ungherese, parlavo soltanto inglese. Dall’altra parte i bambini non parlavano inglese.

Quando arrivi qui la prima volta, non sai cosa aspettarti e secondo me è meglio non avere troppe aspettative. E’ utile ed istruttivo vivere alla giornata e vedere cosa accade. Come ripeto sempre a me stesso, se sei una persona positiva sicuramente accadrà qualcosa.

Questo è quello che mi è accaduto, inizialmente seguivamo le indicazioni degli operatori e a poco a poco, finalmente, abbiamo iniziato ad organizzare autonomamente le attività. Ci è stato chiesto di ideare qualcosa per la settimana successiva. Non sapevo cosa fare, così ho deciso che l’attività dovesse essere il più semplice possibile. Ho realizzato un gioco usando i rotoli di cartoncino della carta igienica, biglie, vasetti dello yogurt, colla e carta colorata… I bambini si sono divertiti con apparentemente niente e questo è stato grandioso.

A seguito di uno stop, sono ritornato in Ungheria e ho trascorso il mio secondo mese di Sve con gli altri volontari nel campo rifugiati di Bicske, sempre gestito da Multikultura. Gli altri erano lì già da prima di me e questo è stato essenziale per favorire la mia integrazione nel campo. E’ stato però difficile ambientarsi. Budapest è una città viva, piena di stimoli e persone nuove, da conoscere ogni giorno. Nel campo invece la vita scorre diversamente. Biscke infatti è un posto dove è facile annoiarsi, sentirsi un po’ perso e per questo ho trascorso molto del mio tempo a casa con gli altri volontari senza internet e senza fare niente di speciale.

Ho avuto la sensazione che pochi di noi avessero un’idea precisa di cosa fare e organizzare con i rifugiati del campo. Così un giorno, parlando con la mia organizzazione sending e con tono sarcastico gli ho detto cosa pensavo; che secondo me era disorganizzato e che forse non c’era motivo di stare là. Ma poi la mia sending tutor mi ha dato il suggerimento che mi ha aiutato a cambiare atteggiamento. Francesca mi ha detto: “il campo vive di vita propria e se non fai niente, niente di buono accadrà”. In parole povere mi ha detto che niente poteva accadere se non facevo niente e che è facile dire che non c’è niente da fare come scusa per non fare niente.

Questo mi ha aiutato a rompere il ghiaccio e il giorno seguente ho deciso di mettere in pratica una delle mie idee, bussando a tutte le porte del campo e invitando i rifugiati ad una classe di inglese.

Questo tipo di approccio è stato molto importante per me perchè mi ha aiutato a creare una  rapporto diretto con i rifugiati. Molti di loro, infatti, hanno iniziato a parlare di sè, perchè si trovavano nel campo e quali erano i loro piani per il futuro.

Ho iniziato la mia prima classe di inglese il mattino seguente. Il corso è stato pensato ad un livello base, focalizzato essenzialmente sull’alfabeto e sui numeri cardinali. Ho scoperto che molti dei rifugiati erano andati a scuola nei loro paesi di origine e, nonostante non avessero familiarità con i suoni dell’alfabeto latino, erano comunque capaci di trascrivere l’alfabeto nei simboli della loro lingua. In ogni caso il resto della classe non era mai stato a scuola, così ho creato un altro piccolo gruppo per quegli studenti che volevano apprendere l’alfabeto, come scrivere una “A” e come rispettare le linee sulla pagina.

Per finire, una sera gli altri volontari ed io siamo stati invitati a casa di una famiglia palestinese ospite del campo; hanno cucinato per noi piatti tipicamente palestinesi e con loro ho giocato a scacchi fino a tardi assaggiando del buon cibo. Ho trascorso una serata meravigliosa e la compagnia è stata grandiosa.

* Emanuele è andato in Ungheria nel novembre 2011 grazie al supporto di Cesvot. Il Cesvot è accreditato presso l’Agenzia Nazionale Giovani come ente di invio e di coordinamento di progetti Sve. Per ulteriori informazioni: Francesca Sasso 055271731, sve@cesvot.it, www.cesvot.it

 

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