Dare risposte a chi rimane fuori dal mercato abitativo, costruire comunità solidali, combattendo l’esclusione sociale, questi gli obiettivi dell’housing sociale. I dati del primo report 2022 dell’Osservatorio delle povertà e delle risorse di Caritas Firenze in merito alla condizione abitativa, sottolineano la rilevanza di questo tema, che riscontra stabilità delle condizioni di grave marginalità abitativa sommata a una crescente fragilità anche per gli individui e nuclei familiari in una condizione di relativa stabilità per quanto riguarda l’alloggio.
Dopo l’emergenza Covid-19, oltre una persona su tre tra quelle che si sono rivolte a Caritas si trova in una situazione in cui la relativa stabilità abitativa si associa a una difficoltà a far fronte alle spese della locazione. Nella maggior parte dei casi si tratta di soggetti che vivono in affitto. Per quanto riguarda, invece, la condizione di provvisorietà permanente: l’81% delle persone che vivevano una condizione abitativa definita come provvisoria nel 2018 si trovano nella stessa situazione anche a distanza di quattro anni. Con la pandemia la condizione di necessità si cristallizza configurando uno stato di “permanente provvisorietà”.
Sono tanti i temi dell’housing sociale legati alle politiche di investimento del Pnrr (Piano Nazionale Ripresa e Resilienza) che intercetta questo tema con diverse modalità, in particolare nella sezione “M5C2 Infrastrutture sociali, famiglie comunità e terzo settore” che prevede risorse a livello nazionale per 11,7 miliardi. Questo ramo di investimenti si articola in ambiti specifici: servizi sociali, disabilità e marginalità sociale, rigenerazione urbana e housing sociale, sport e inclusione. Per quanto riguarda il secondo ambito di intervento, si spazia dagli investimenti di rigenerazione urbana volti a ridurre situazioni di emarginazione sociale ai programmi innovativi sulla qualità dell’abitare.
I fondi stanziati per la Toscana nell'ambito della Missione 5 del Pnrr saranno utilizzati per 131 interventi distribuiti da oltre 91 milioni di euro, coi quali favorire le attività di inclusione sociale di soggetti fragili e vulnerabili, come bambini, anziani non autosufficienti, persone con disabilità e senza dimora. Per quanto riguarda l’ambito della rigenerazione urbana sono disponibili 162 milioni di cui 45 mln finanziati da Regione Toscana per i 30 progetti di rigenerazione urbana toscana assegnatari di risorse nell’ambito del Programma Pinqua (Programma Innovativo Nazionale per la Qualità dell’Abitare).
Per il capitolo vulnerabilità per quanto concerne gli interventi contro la povertà estrema sono previsti 14,5 milioni per progetti di housing temporaneo e 19,7 per la creazione di stazioni di posta notturna.
Tra le più innovative realtà del terzo settore toscano Auser Abitare Solidale è tra le associazioni pioniere a livello regionale per le pratiche di abitare condiviso. Parte in effetti nel 2008 il servizio – sperimentale sia nella nostra regione che nel resto di Italia – delle coabitazioni, un progetto che nasce dall’idea di trasformare il “problema abitativo” e le molteplici fragilità ad esso connesse in nuove opportunità per un benessere di comunità agito e compartecipato dagli stessi utenti. Abitare Solidale ha come obiettivo l’attivazione di percorsi di condivisione abitativa tra anziani e non solo, residenti in case di proprietà di uno dei due coabitanti con più di una camera da letto, e quanti abbiano bisogno di alloggio e vivano una situazione di momentanea difficoltà.
Un rapporto di convivenza basato su un patto abitativo che prevede un reciproco scambio di servizi, sostituendo il tradizionale contratto d’affitto e la logica economicistica con una dimensione relazionale positiva ed arricchente. Di fragilità abitativa abbiamo parlato con Gabriele Danesi, fondatore di Auser Abitare Solidale e presidente della neo nata aps Auser Laboratorio Casa.
Perché l’abitare solidale è sia una opportunità per rispondere alla fragilità abitativa, sia un modo di riprogettare le città?
Dagli esordi del 2008 Abitare Solidale si è allargato e diversificato, dando vita a nuove sperimentazioni e servizi che – partendo dall’esperienza fondativa delle coabitazioni e dell’iperprossimità – potessero contribuire a creare una filiera, in termini di risposte ed intensità dell’intervento, a contrasto e prevenzione della fragilità abitativa.
In questi anni abbiamo assistito a una profonda involuzione, sia sociale che economica, del nostro paese, accelerata nell’ultimo biennio dalla pandemia. Accanto a una preoccupante contrazione del potere di acquisto di famiglie, singoli ed anziani e a un’ulteriore precarizzazione del lavoro, negli ultimi 10 anni le grandi città a vocazione turistica si sono fatte ‘affascinare’ da processi, più o meno governati, di gentrificazione. Che il più delle volte si sono tradotti in fenomeni speculativi fondati su atteggiamenti rapaci di rendita, di veloce svuotamento del genius loci di contesti urbani di grande storia e carattere, a favore di un’economia che strizza l’occhio al turismo di massa. Firenze, ad esempio, da città di residenti si è trasformata in città di visitatori, di presenze transitorie che stanno indebolendo il sistema, già fragile, della locazione tradizionale. Su questo ultimo aspetto è da evidenziare che la precarietà abitativa, è intensificata dalle trasformazioni interne al mercato immobiliare: da un lato sempre più propenso a considerare la casa come una rendita, spogliata di ogni afflato di responsabilità e redditività sociale, e quindi il cui godimento è vincolato a condizioni e garanzie spesso insostenibili per gli aspiranti locatari; dall’altro impoverito da importanti "migrazioni", soprattutto nei centri a vocazione turistica appunto, dall'affitto residenziale alla locazione turistica. Un fenomeno che non solo sottrae un significativo stock immobiliare alla popolazione residente, innalzando le pretese negoziali dei pochi locatori superstiti, ma svuota importanti parti di città da quelle relazioni tra spazi fisici, luoghi di vita, rapporti interpersonali e di vicinato che costituiscono il collante e l’anima di ogni microcosmo urbano. Allo stesso tempo questi processi stanno facendo emergere una nuova categoria di vulnerabilità socio abitativa, quella della normalità sospesa sociale; ovvero la situazione in cui, pur in presenza di un’oggettiva disponibilità economica, posizione lavorativa e/o reddituale certificata, strumenti relazionali e culturali, si è nell’ impossibilità di accedere a beni, diritti e servizi abitativi a causa di fattori esterni non gestibili da una policy pubblica e orientati da meccanismi speculativi.
E ancora, come accennato prima, se si svuota la città di residenti che la vivono, ogni contesto urbano, anche il più tenace, prima o poi perde la sua identità, la rete di relazioni, l’ecosistema degli esercizi e dei servizi di vicinato. E saltano così i tanti, diffusi, presidi ‘naturali’ delle nostre città, i rapporti amicali e di prossimità.. Sono queste dinamiche che hanno logorato la città in termini di community welfare.
Quello che cerchiamo di fare con i nostri nuovi servizi - dai Condomini solidali all’ospitalità diffusa dei progetti housing led ‘La Buona Casa’ - è tentare di creare stimoli e modelli atti a ribaltare la situazione: intervenendo nelle e sulle città, modificando il concetto e la pratica stessa dell’accoglienza grazie a una rinnovata centralità della casa intesa come infrastruttura sociale, strumento di normalizzazione e di dialogo tra lo spazio privato e quello pubblico delle relazioni. E i rapporti interpersonali sono davvero la base delle nostre progettualità, dove la scelta è quella di mettere insieme fragilità diverse perché proprio la diversità delle problematiche e delle aspettative possa concorrere a disinnescare – ovviamente con il supporto della nostra equipe - le stesse fragilità di partenza grazie a quotidiane pratiche di solidarietà. La riconquista delle relazioni è, a nostro avviso, oggi come non mai fondamentale: si scopre che l’altro da sé può essere un nostro alleato, con il quale prendere semplicemente un caffè o superare momenti difficili.
Dalla vostra esperienza quali sono i maggiori punti di forza dei modelli di abitare relazionale e quali le nuove sfide da affrontare?
Crediamo che il modello delle coabitazioni solidali e dell’abitare relazionale in genere possa avere, in particolare in questo momento, le chiavi per una reinterpretazione dei sistemi di contrasto e superamento della fragilità abitativa, e gli strumenti per rispondere anche alle nuove sfide passando da approcci assistenziali a processi generativi.
Il codice del terzo settore e soprattutto l’istituto della coprogrammazione e coprogettazione è un’occasione formidabile e performante, ed è importante coprogettare per orientare le scelte pubbliche di fronde a sfide ed occasioni epocali come il PNRR. Attualmente siamo in effetti coinvolti in percorsi di coprogettazione con gli enti locali per quanto riguarda la missione 5 “Inclusione e coesione” del Pnrr. Abbiamo inoltre contribuito con il Comune di Barberino e Tavarnelle e altre realtà locali, a definire un progetto di rinascita e rigenerazione complessiva del famoso borgo medievale di Linari, fondato sul ritorno alla residenza e sull’attivazione di una molteplicità di funzioni – culturali, economiche….; anche se questa proposta non ha avuto l’atteso esito positivo al bando Pnrr “Rigenerazione culturale e sociale dei piccoli borghi storici” (che , per inciso, premiava un solo progetto a livello regionale), ha avuto il merito di attivare un laboratorio territoriale pronto a cogliere future occasioni di finanziamento.
Ma in un senso più esteso, la coprogettazione è utilissima anche se agita tra privato sociale e profit. Ne sono un chiaro esempio i Condomini Solidali di Sesto Smart Village e quello di Osteria social club, nostri servizi inseriti, grazie a convenzioni ed accordi privati, in più ampi interventi di social housing, finanziati dal Fondo Housing Toscana e curati da Abitare Toscana. Sono luoghi e progetti in cui non si sente lo stigma, il contesto è sereno, normalizzante, e gli spazi abitativi sono ad uso esclusivo dei nuclei ospitati. Da un lato la nostra equipe cura i singoli progetti di autonomia e di uscita dalla fragilità; dall’altro questi percorsi sono facilitati dalla presenza di spazi – orti, biblioteca comune, palestra open air – che incentivano i rapporti interpersonali, consolidati da un capillare lavoro di community building promosso dal gestore sociale
La sfida è quella di riportare la città a bene relazionale, luogo di vita e di rapporti tra spazi, servizi e persone, in grado di ricomporre sistemi di coesione e sussidiarietà ‘endemica’.
Foto scattate a Sesto smart village da Federico Barattini a questo link l'intero album.