Marita è una trans brasiliana e la sua è una storia di migrazione a lieto fine. Oggi ha un permesso di soggiorno, un contratto di lavoro, una casa, un compagno e un cane. Una tranquilla vita “normale”. I guai ormai – dice con ironia - appartengono al passato. Anni fa, appena arrivata in Italia, Marita si è prostituita lungo la via Aurelia, nel tratto di strada che collega Pisa e Viareggio. I soldi guadagnati le servono per pagare “il disturbo” alle persone che l’hanno aiutata ad arrivare nel paese dei suoi sogni e per farsi operare e diventare finalmente una donna. Il giorno in cui decide di lasciare la strada scopre però che non può andarsene: il suo passaporto è sparito e lei è stata venduta.
Marita, che nella realtà non si chiama così, è stata riconosciuta come “vittima di tratta” ed è una delle circa 80 persone - in larga maggioranza donne - che, in media, ogni anno, in Toscana, entrano nei programmi di assistenza e integrazione previsti dalla legge nazionale.
Nel mondo sono milioni, le persone che subiscono condizione di vita e di lavoro inumane, come la schiavitù per debito o il lavoro forzato. E donne e bambini sono particolarmente vulnerabili alle forme più estreme di abuso e sfruttamento.
Da più di dieci anni, l’Italia ha uno strumento normativo - l’articolo 18 del Testo unico sull’immigrazione - che per l’attenzione alla tutela delle vittime è un caso unico in Europa. La legge prevede il rilascio di un permesso temporaneo di soggiorno agli stranieri che intendano sottrarsi a particolari violenze e si trovino per questo in pericolo di vita. Per ottenere il permesso - e qui sta la differenza con gli altri stati europei - non è richiesto che la vittima denunci i propri sfruttatori.
La legge è stata sostenuta dalle organizzazioni di terzo settore, le prime ad avviare, negli anni ‘90, interventi a sostegno delle donne costrette a prostituirsi.
Grazie al finanziamento del Ministero Pari opportunità e degli enti locali si è sviluppato un sistema integrato di servizi articolato e diffuso che risulta fondamentale, ma che appare oggi depotenziato a causa delle riduzione delle risorse ed è, più in generale, inadeguato, da solo, ad affrontare la complessità del fenomeno.
Se opporsi alla tratta significa infatti impegnarsi per la giustizia e l’uguaglianza tra gli individui, appare necessario andare oltre il sostegno alle vittime e la cattura dei trafficanti, per prestare attenzione alle cause strutturali e sistemiche che alimentano l’abuso e lo sfruttamento a livello globale e nazionale. Ed è su questa analisi che le agende anti-tratta si dividono.
Al centro del conflitto le politiche migratorie. Il contrasto alla tratta è utilizzato a sostegno di un ulteriore restringimento degli ingressi. Esperti e addetti ai lavori hanno però evidenziato che limitate possibilità di emigrare in modo legale, contribuiscono ad aumentare l’incidenza di pratiche abusive, rendono i migranti invisibili e di fatto impediscono qualunque tutela del loro lavoro e della loro vita.
Marta Bonetti è una delle autrici del volume Atlante sociale sulla tratta. Interventi e servizi in Toscana (Cesvot, in collaborazione con Cnv e Fondazione Volontariato e Partecipazione, I Quaderni, n. 53).
Marita, che nella realtà non si chiama così, è stata riconosciuta come “vittima di tratta” ed è una delle circa 80 persone - in larga maggioranza donne - che, in media, ogni anno, in Toscana, entrano nei programmi di assistenza e integrazione previsti dalla legge nazionale.
Nel mondo sono milioni, le persone che subiscono condizione di vita e di lavoro inumane, come la schiavitù per debito o il lavoro forzato. E donne e bambini sono particolarmente vulnerabili alle forme più estreme di abuso e sfruttamento.
Da più di dieci anni, l’Italia ha uno strumento normativo - l’articolo 18 del Testo unico sull’immigrazione - che per l’attenzione alla tutela delle vittime è un caso unico in Europa. La legge prevede il rilascio di un permesso temporaneo di soggiorno agli stranieri che intendano sottrarsi a particolari violenze e si trovino per questo in pericolo di vita. Per ottenere il permesso - e qui sta la differenza con gli altri stati europei - non è richiesto che la vittima denunci i propri sfruttatori.
La legge è stata sostenuta dalle organizzazioni di terzo settore, le prime ad avviare, negli anni ‘90, interventi a sostegno delle donne costrette a prostituirsi.
Grazie al finanziamento del Ministero Pari opportunità e degli enti locali si è sviluppato un sistema integrato di servizi articolato e diffuso che risulta fondamentale, ma che appare oggi depotenziato a causa delle riduzione delle risorse ed è, più in generale, inadeguato, da solo, ad affrontare la complessità del fenomeno.
Se opporsi alla tratta significa infatti impegnarsi per la giustizia e l’uguaglianza tra gli individui, appare necessario andare oltre il sostegno alle vittime e la cattura dei trafficanti, per prestare attenzione alle cause strutturali e sistemiche che alimentano l’abuso e lo sfruttamento a livello globale e nazionale. Ed è su questa analisi che le agende anti-tratta si dividono.
Al centro del conflitto le politiche migratorie. Il contrasto alla tratta è utilizzato a sostegno di un ulteriore restringimento degli ingressi. Esperti e addetti ai lavori hanno però evidenziato che limitate possibilità di emigrare in modo legale, contribuiscono ad aumentare l’incidenza di pratiche abusive, rendono i migranti invisibili e di fatto impediscono qualunque tutela del loro lavoro e della loro vita.
Marta Bonetti è una delle autrici del volume Atlante sociale sulla tratta. Interventi e servizi in Toscana (Cesvot, in collaborazione con Cnv e Fondazione Volontariato e Partecipazione, I Quaderni, n. 53).