Far presentare una proposta di legge ad un parlamentare, spiegare agli esponenti dell’esecutivo la ricaduta di un regolamento sull’attività che si svolge, correggere gli effetti perversi di un provvedimento voluto dalla politica: a questo serve l’attività di lobbying, ovvero la rappresentanza degli interessi di un gruppo organizzato presso i soggetti decisionali pubblici.
Se, in passato, la rappresentanza degli interessi è stata appannaggio dei gruppi economici, di recente l’attività di lobbying comincia a dimostrare una sua rilevanza anche per il Terzo Settore. E a presentare delle buone pratiche, come ad esempio, la “pressione” dell’associazionismo di promozione sportiva sul Ministro della Giustizia per la modifica del Decreto Legislativo 39/2014. Il provvedimento anti-pedofilia imponeva l’obbligo di presentazione di due certificati di casellario giudiziale all’anno per chi svolge attività sportiva - quasi sempre gratuita - con i giovani. Un costo insostenibile per le associazioni, che hanno visto accogliere le proprie ragioni con la rettifica del provvedimento del Ministero della Giustizia.
Importante anche la campagna di relazione istituzionale con gli esponenti politici dell’esecutivo Renzi, realizzata da Fish e Fand, le due principali organizzazioni in materia di diritti per le persone con disabilità, al fine di scongiurare i tagli alle pensioni di invalidità e alle indennità di accompagnamento previsti dalla Spending Review di Carlo Cottarelli. Un buona esempio viene anche dall’azione di Alleanza per le cooperative sociali per il ritorno al 4% dell’IVA sulle prestazioni delle cooperative sociali, provvedimento inserito nella legge di stabilità 2014.
I gruppi del Terzo Settore italiano hanno cominciato a muoversi nel deregolamentato mondo italiano della rappresentanza degli interessi. E nel frattempo un’innovazione giunge dall’Unione Europea, in passato già attiva in forme di consultazione, partecipazione e dialogo istituzionale con il non-profit. Dal 2011 funziona un Registro europeo per la trasparenza per la rappresentanza degli interessi presso Parlamento e Commissione europea. Alle 6 sezioni del Registro possono iscriversi, su base volontaria, i rappresentanti degli interessi economici (sez. 1- 2), gli esponenti del mondo sociale (sez. 3), culturale (sez.4), religioso (sez. 5) e territoriale (sez. 6).
I gruppi registrati ricevono informazioni sui provvedimenti e le politiche europee che li riguardano e rappresentare i propri interessi presso Commissione e Parlamento. La sezione III del Registro, dedicata al Terzo Settore, a fine aprile 2014 vedeva iscritte 1689 “organizzazioni non governative”. Tra di esse, anche le 122 organizzazioni del sociale con sede in Italia, (il 7, 2% delle realtà europee registrate). 7 le organizzazioni toscane iscritte, tra cui Cesvot e Anpas Toscana.
In 3 Regioni italiane (Toscana, Molise, Abruzzo) è in vigore un modello molto simile. E’ attivo in Toscana il Registro generale dei gruppi di interesse accreditati, ai sensi della Legge Regionale 5 del 2002. I gruppi economici e sociali, registrati facoltativamente, ottengono la possibilità di seguire, dal vivo o su web, i lavori del Consiglio Regionale; possono inoltre mettersi in contatto con i Consiglieri che stiano lavorando a provvedimenti legislativi regionali su temi di interesse.
Ad aprile 2014, risultano accreditati al Registro toscano 128 gruppi di interesse, tra cui Cgil, Confindustria e Cna regionali. Significativa anche la presenza di organizzazioni di volontariato e di Terzo Settore dentro al Registro toscano, che ha il merito di aver posto sul medesimo piano - in quanto ad accesso istituzionale e a trasparenza nell’accreditamento - i gruppi economici e i gruppi del volontariato e del Terzo Settore.
Si tratta di un passo avanti nella direzione di un autentico pluralismo nella rappresentanza degli interessi, con il superamento dell’esclusività delle rappresentanze imprenditoriali e sindacali. Ma il Registro toscano costituisce uno strumento capace di offrire a volontariato e Terzo Settore presenti sul territorio un canale in più di partecipazione alle politiche regionali, facendo udire la voce di chi opera nel sociale alle istituzioni regionali.
* Maria Cristina Antonucci, ricercatrice Cnr e docente in Associazionismo e Rappresentanza del Terzo Settore presso l'Università Roma Tre.