Qualche tempo fa ho letto degli stralci della Lezione sulla democrazia che Gustavo Zagrebelsky ha tenuto alla Festa del Partito Democratico a Torino. Di quel testo mi rimangono importanti sollecitazioni, alcune delle quali voglio qui condividere con i miei lettori.
Dice Zagrebelsky che la politica deve essere di coloro che amano stare con le persone e che la democrazia è l'unico regime che presuppone l'amicizia fra governanti e governati; individua così nelle chiusure della classe politica attuale, nonché nella legge elettorale di questo Paese, uno dei rischi più grandi per la tenuta della nostra democrazia.
Fin dalla Liberazione l'ambizione dei partiti, dice l'autore, soprattutto quelli di sinistra, è stata di voler occupare ogni spazio di rappresentanza; spesso si è rappresentata la cosiddetta “società civile” impegnata in politica solo come lobby salottiera di intellettuali o come gruppi di difesa di interessi particolari.
Oggi sappiamo, in modo più condiviso, che la società civile è quell'insieme di persone, associazioni o gruppi che dedicano, o vorrebbero dedicare, “passione, competenze e risorse a ciò che chiamiamo il bene comune”. E' da qui, da questi luoghi, che la politica dovrebbe ricominciare a trarre le sue risorse vitali, ad aprire canali di collegamento reali e non solo demagogici o populisti.
Le crescenti ingiustizie e diseguaglianze di questo Paese rischiano di rendere la nostra democrazia solo formalmente tale alimentando legittimi sentimenti antipolitici e riducendo la partecipazione dei cittadini.
Rischia di diventare una democrazia “odiosa” perché prevalgono le sopraffazioni. Ecco perché la politica deve al più presto stringere una nuova alleanza con la società.
Ma quella parte della società civile che siamo noi, che sono le associazioni di volontariato, sarebbe in grado di sostenere questa alleanza? E lo vorrebbe? E in quali termini? Non solo. La politica sarebbe in grado di rispettare le nostre particolarità?
Questo il dibattito ed il confronto che sarebbe il momento di mettere in campo, prima di tutto al nostro interno.
Dice Zagrebelsky che la politica deve essere di coloro che amano stare con le persone e che la democrazia è l'unico regime che presuppone l'amicizia fra governanti e governati; individua così nelle chiusure della classe politica attuale, nonché nella legge elettorale di questo Paese, uno dei rischi più grandi per la tenuta della nostra democrazia.
Fin dalla Liberazione l'ambizione dei partiti, dice l'autore, soprattutto quelli di sinistra, è stata di voler occupare ogni spazio di rappresentanza; spesso si è rappresentata la cosiddetta “società civile” impegnata in politica solo come lobby salottiera di intellettuali o come gruppi di difesa di interessi particolari.
Oggi sappiamo, in modo più condiviso, che la società civile è quell'insieme di persone, associazioni o gruppi che dedicano, o vorrebbero dedicare, “passione, competenze e risorse a ciò che chiamiamo il bene comune”. E' da qui, da questi luoghi, che la politica dovrebbe ricominciare a trarre le sue risorse vitali, ad aprire canali di collegamento reali e non solo demagogici o populisti.
Le crescenti ingiustizie e diseguaglianze di questo Paese rischiano di rendere la nostra democrazia solo formalmente tale alimentando legittimi sentimenti antipolitici e riducendo la partecipazione dei cittadini.
Rischia di diventare una democrazia “odiosa” perché prevalgono le sopraffazioni. Ecco perché la politica deve al più presto stringere una nuova alleanza con la società.
Ma quella parte della società civile che siamo noi, che sono le associazioni di volontariato, sarebbe in grado di sostenere questa alleanza? E lo vorrebbe? E in quali termini? Non solo. La politica sarebbe in grado di rispettare le nostre particolarità?
Questo il dibattito ed il confronto che sarebbe il momento di mettere in campo, prima di tutto al nostro interno.