Un po' come il Calendario Pirelli, ogni anno noi pubblicitari aspettiamo la nuova campagna del Coordown, e puntuale come il primo giorno di primavera (21 marzo, giornata mondiale di sensibilizzazione sul tema) la nuova campagna Coordown arriva.
CoorDown rappresenta oggi l’organismo ufficiale di confronto con tutte le Istituzioni per quanto riguarda le questioni e i diritti delle persone con la sindrome di Down. Attivo fin dal 1987, si costituisce formalmente nel 2003 e ha lo scopo di: attivare azioni di comunicazione sociale per far conoscere le potenzialità delle persone con sindrome di Down; favorire la loro inclusione nella scuola, nel lavoro e nello sport; condividere esperienze tra le singole associazioni; individuare e mettere in atto strategie comuni rispetto a problemi politici condivisi (dal sito www.coordown.it )
Insieme a questo impegno istituzionale, che chiameremo il suo core business, Coordown cura il suo posizionamento di marketing, la traccia della sua identificazione, e lo fa ogni anno con campagne pubblicitarie internazionali: il film del 2024 “Assume that I can” dopo 4 giorni dal lancio ha già raggiunto 100 milioni di visualizzazioni, mettendo a confronto gli stereotipi con la realtà possibile, definendo che se noi lo pensiamo possibile, per un ragazzo con sindrome Down sarà realtà.
Se poi aggiungiamo che Mattel l’anno scorso ha lanciato la prima Barbie con sindrome di Down, capiamo che (seppure lentamente) il vento sta veramente cambiando.
Qualcuno potrebbe dire che l’operazione di Mattel è un tipico esempio di social washing, quelle pratiche che (come per il green) puntano ad assolvere i comportamenti delle imprese dedite solo ai profitti, generando empatia verso messaggi che le posizionano ad un livello superiore di correttezza verso i temi del sociale,e quindi non ci sarebbe da fidarsi.
A me verrebbe da dire “chissenefrega”, nel senso che il cittadino oggi è più cosciente del suo ruolo di consumatore, delle lusinghe della pubblicità e di come aggirarle, e vive con la pubblicità un rapporto più adulto, dove certi mezzucci non sono convenienti. Ecco perché tendo a fidarmi di Mattel.
Tornando a Coordown, ci trovo coraggio, coerenza e cocciutaggine: di certo un investimento così imponente in comunicazione (al di là dei budget) lo fai solo se sei convinto che la risorsa comunicazione sia utile alla causa. Lo fai se ci credi, se hai un ritorno, un feedback. E probabilmente il Coordown questo feedback ce l’ha, se da così tanti anni investe in questa azione specifica di promozione.
Tutti i suoi spot sono coraggiosi, coerenti e cocciuti, e forse proprio per questo diventano virali. Già altre volte ne ho parlato, e nell’aprile del 2012 così scrivevo della campagna Coordown dell’epoca:
La forza del progetto Coordown è data dall’intuizione e dalla qualità del prodotto pubblicitario, ma anche dal rilancio sulla Rete, sui media nazionali ed internazionali, dal peso specifico del Coordinamento e dei partner coinvolti, e non ultimo dal coinvolgimento di autentici professionisti della comunicazione sociale.
Le associazioni non sono sole, e tutte possono avere una Rete, media di supporto e partner di peso (ed anche comunicatori amici). Si tratta soltanto di circoscrivere e presidiare il proprio ambito territoriale, diventare punto di riferimento “in casa”, per poi entrare in un movimento globale, perché essere “piccoli” non vuol dire essere “pochi”.
Ormai Coordown ha superato anche questa fase, posizionando il tema (ed il suo trattamento comunicativo) in un’area “oltre”, facendo scuola e vincendo premi, coinvolgendo creativi e case di produzione, ingaggiando artisti e testimonial (come per la canzone di Sting del 2021).
Insomma, Coordown usa la leva pubblicitaria come – forse anche meglio – di un brand profit, e non c’è proprio niente di male.
Alla prossima... e fate pubblicità !