La ricerca della modernità in comunicazione da parte del non-profit può aiutare le associazioni a sviluppare campagne adatte al contesto, più visibili, soprattutto quando una agenzia di pubblicità prende l’incarico di realizzare una immagine, e le assonanze diventano ancora più evidenti ed efficaci. Per questo approfondimento parliamo di autismo, e lo facciamo nelle giornate dedicate.
Avrete notato che da un po' di tempo, le azioni di comunicazione sull’autismo sono tutte azzurre: azzurro il fiocco, quel nastrino classico che ci permette di “indossare la causa”, azzurri sono i materiali ed i gadget, azzurre sono spesso anche le campagne pubblicitarie.
L’azzurro è un colore difficile da trattare perché neutro ed universale (quindi a volte poco incisivo), come difficile da trattare è il tema dell’autismo. In questi anni è stato avviato un percorso di "correzione di rotta" positivo del termine (non solo in Italia… ancora nel 2009 in Portogallo è stata emanata una legge che vietava di usare il termine come dispregiativo.
Grazie ad un lavoro continuo e meritorio di legittimazione e consapevolezza, oggi parlare di autismo significa finalmente affrontare le tematiche e le risposte per l’inclusione di chi (non per sua volontà) è escluso. La campagna che oggi qui commento tratta di una iniziativa molto interessante, anche per come viene raccontata: le Piccole Case dell’associazione L’abilità.
Per cominciare, ci sono due calembour (piccole case-cose e abilità-labilità) in sei parole sono già un record: lì per lì mi è sembrato un refuso, è invece un effetto cercato per far riflettere sul nome del servizio, per renderlo attenzionale e farlo ricordare.
L’agenzia che l’ha realizzata ha utilizzato molte semplici accortezze (grafiche e di copy) per renderla più visibile-leggibile. Alcune di queste sono evidenti, come l’uso del linguaggio misto (foto e disegni), e l’evidenziazione delle parole chiave (con pecette e grassetti)… alcune altre lo sono un po' meno (l’uso del maiuscolo, le righe di separazione, l’apparente disordine del blu sullo sfondo).
Queste accortezze hanno lo scopo di aiutare nella meta-lettura, una forma di attenzione che non vede tutto ciò che gli viene mostrato, ma viene guidata ad estrarre e ricordare solo alcuni elementi-chiave, ed anche l’ultima finezza (apparentemente un dettaglio, ma molto moderno) conferma questa impressione: il posizionamento del logo.
Come nelle campagne dei brand del fashion e del luxury, la pagina si chiude con una fascetta bianca in cui è posizionato il logo, e la call-to-action inserita in basso a destra nella posizione di pay-off diventa l’ultima cosa da vedere e ricordare. Anche se - forse - ci sono molti elementi (e la decodifica può risultare laboriosa) un prodotto realizzato in modo professionale si vede.
Non è compito mio, né mia intenzione, spingere le associazioni a dotarsi di un’agenzia o di un grafico professionista (anche se male non farebbe, soprattutto per quelle che hanno un budget a disposizione). Una volta di più mi sento però di invitarle ad avere cura dei dettagli, a semplificare (con metodi visivi puliti, testi chiari e concisi, colori sintonici), a levare invece che a mettere, cercando un equilibrio leggero anziché rimpinzare di ansia lo spazio fisico di una pagina.
“Abbiate cura dei mezzi, i fini si realizzeranno da soli” (Mahatma Gandhi)
Alla prossima … e fate pubblicità.
Ps.
Arrivo allo sguardo del bambino in polo bianca solo dopo aver visto tutto il resto, e fatico a rimanere su quello sguardo per i molti stimoli “esterni” che me ne distolgono… non so dire se anche questa sia una scelta guidata, o una fatale conseguenza.