Un po' come il giallo-mimosa dell’8 marzo, ci sono iconografie (colori, immagini, parole) che a furia di essere usate in pubblicità diventano stereotipi inutili e quasi dannosi: utili all’inizio per mappare il target di riferimento e circoscrivere l’ambito, con il tempo diventano delle gabbie - non necessariamente dorate - dalle quali è comunque difficile uscire.
Nel caso dell’Alzheimer molte campagne pubblicitarie ritraggono anziani, più o meno sofferenti o sorridenti ma comunque anziani… intorno al 21 settembre (giornata mondiale dedicata al tema) ci sarà quindi un profluvio di capelli grigi, rughe ed altri elementi canonici dei visi dei pazienti.
Quando non ci saranno le foto degli anziani, ci saranno illustrazioni di vario genere, nel tentativo di sfuggire a questo effetto di déja-vu (pericoloso per il messaggio) che però allontana dalla verità, un po' come uno stigma al contrario.
Saatchi and Saatchi, agenzia internazionale sempre molto attenta ai temi etici (e produttrice di molte campagne sociali di grande impatto), a suo tempo propose invece questa campagna, raccolta dall'archivio di comunicazione sociale di Cesvot, che definiremmo “di rottura” dove la protagonista è proprio la verità: una giovane ragazza che (così dice l’headline) sta soffrendo di Alzheimer.
Questa apparente distopia tra l’immagine ed il soggetto della campagna è il principale attrattore di attenzione, perché è possibile (anzi, forse è l’effetto cercato) che nella testa di chi guarda il messaggio emerga un pensiero “Povera … così giovane … ma come fa ad avere già l’Alzheimer?” .
Invece (come ben descritto nella body copy) lei soffre vedendo tutti i legami emotivi che la legavano a sua madre sparire progressivamente: nei primi momenti della malattia, la madre avrà probabilmente dimenticato il suo nome, poi non ricorderà neppure di avere una figlia.
Ed è proprio questa sofferenza che si affronta nel viso della ragazzina, nei suoi occhi azzurri, in quella lacrima che scende sulla guancia sinistra - che per vederla ci devi mettere attenzione - una sofferenza descritta anche con i numeri “850.000 persone che soffrono di Alzheimer, e milioni di vittime in chi li circonda” (avete letto bene … vittime).
Se vuoi sensibilizzare con la pubblicità (per la donazione, per la condivisione, per la consapevolezza) devi avere il coraggio di toccare corde sensibili, quindi il suggerimento è cercare quel coraggio: non dite quello che tutti si aspettano che direte, cercate un linguaggio di rottura dello stereotipo, fate scelte fuori schema e non usate necessariamente un linguaggio accomodante.
Alzheimer non è solo capelli grigi, rughe, perdita di memoria e poca vita davanti: non soffre solo chi ne soffre e le famiglie hanno bisogno di aiuto … Niente è più forte di questa semplice verità.
Alla prossima … e fate pubblicità.
P.s
Mi piace pensare che per rompere un altro stereotipo nel promuovere una associazione francese sia stato usato appositamente un testo in inglese. una contaminazione che all’epoca - in Francia – deve essere apparsa come una bestemmia.