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Donne in movimento

Intervista ad Elena Mezzetti

L’associazione Donne in movimento gestisce a Pisa percorsi di protezione e accoglienza per donne vittime di tratta. Per saperne di più abbiamo intervistato Elena Mezzetti, una delle fondatrici dell’associazione. In che modo entrate in contatto con le donne?
Le donne ci contattano attraverso tre strumenti: il Numero Verde nazionale, il nostro servizio telefonico attivo 24h (340 7031986), lo sportello informativo. Talvolta sono le forze dell'ordine o l'unità di strada ad inviarcele. In questi casi ospitiamo le donne nella struttura di fuga per verificarne la volontà ad uscire dalla situazione di sfruttamento e soprattutto la volontà ad intraprendere il programma di protezione sociale. Dopo circa un mese le trasferiamo nella casa di prima accoglienza e qui attiviamo il programma d'inserimento socio-lavorativo. Alle donne offriamo assistenza legale, sanitaria, psicologica, supporto linguistico e, naturalmente, vitto e alloggio.

Ad oggi quante donne avete accolto?
Il nostro progetto è attivo da 11 anni. Abbiamo accolto oltre 500 donne, soprattutto di nazionalità nigeriana, albanese e dell’est europeo. L'età media è 20-25 anni, poche sono scolarizzate e in genere non hanno esperienze lavorative nel Paese d’origine.

Su quali altre attività siete impegnate?
Molto del nostro impegno va nella ricerca del lavoro. Cerchiamo di facilitare l'incontro con il mondo del lavoro, dall'orientamento alla formazione. Ad esempio, in questo momento in cui scarseggiano fondi per borse-lavoro e tirocini, abbiamo aperto un laboratorio di sartoria. Ma cerchiamo di utilizzare anche le opportunità offerte dal territorio: recentemente le donne hanno partecipato ad un corso di orientamento al lavoro promosso da un’agenzia locale e, a breve, inizieranno un corso di informatica.

width=300Con quali soggetti collaborate?
Il lavoro di rete è particolarmente curato dall’associazione. Collaboriamo con Questura, Prefettura, Guardia di Finanza, terzo settore, Società della salute... La rete territoriale è oggi formalizzata nel Tavolo interistituzionale per la programmazione di interventi su prostituzione e tratta di persone. Il tavolo rappresenta una sede fondamentale di confronto, analisi dei bisogni, progettazione, definizione di prassi comuni, ma è soprattutto lo strumento ideale per creare un sistema integrato di servizi. Attraverso il tavolo cerchiamo di affermare un welfare comunitario che sia in grado di promuovere azioni di sistema e accompagnamento, creare opportunità a favore delle persone immigrate svantaggiate.

Da qualche anno la vostra associazione si occupa anche di uomini e transessuali. Un cambiamento importante anche se guardiamo all’immaginario collettivo e all’equazione “tratta=donne”…
Sì, è vero. Grazie alla rete abbiamo incontrato altre tipologie di sfruttamento, in particolare lavorativo. Tutto è iniziato nel 2005 quando la Procura ci inviò 14 rumeni che la Guardia di Finanza aveva scoperto essere gravemente sfruttati da un’azienda. Anche per gli uomini esistono casi di grave sfruttamento, seppure con modalità diverse da quelle delle donne. Cruciali sono i meccanismi di ingresso nel nostro territorio, il reclutamento e la funzione del ‘caporalato etnico

A differenza di altri soggetti che operano nell’ambito della tratta, la vostra associazione nasce dall’incontro di donne italiane e straniere e si occupa a 360° di diritti delle donne migranti. Che significa occuparsi di tratta in una prospettiva di genere?
Per noi l'ottica di genere è fondamentale. La tratta è un condensato di tutte le violenze che subiscono le donne e chi si rivolge a noi spesso proviene da Paesi in cui i diritti delle donne sono completamente assenti. Così cerchiamo di affrontare anche temi più generali, legati alla condizione femminile e in ciò ci aiuta l’associazione Casa della donna alle cui attività alcune delle ‘nostre’ donne partecipano. Il nostro tentativo è quello di renderle più consapevoli, con più autostima e fiducia in se stesse. Per questo partecipiamo anche al Tavolo sulla violenza di genere promosso dalla Società della Salute. Il nostro obiettivo è fare in modo che, anche a livello istituzionale, queste donne siano riconosciute non solo come vittime di tratta ma anche vittime della violenza di genere.
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