Nel 2015 al Festival della Comunicazione di Camogli, l’architetto Massimiliano Fuksas (uno dei più famosi architetti italiani) parlando della sua professione operava una interessante distinzione tra savoir-faire e faire-savoir (competenza e modo vs conoscenza e promozione).
In sintesi (questo il suo pensiero) una cosa è comunicare le proprie competenze e progetti, un’altra è pensare alla comunicazione prima ancora di avere le competenze e di aver progettato.
Io credo che la questione riguardi da vicino anche gli Enti del Terzo Settore: le associazioni sono infatti molto più concentrate nel savoir-faire che nel faire-savoir, nel fare piuttosto che nel dire di aver fatto, ed il loro silenzio comunicativo è assordante, mentre si trasforma in lamento quando si accorgono che pochi le conoscono, che pochi sanno ciò che viene.
La cosa è ancora più evidente in tempi di Covid-19: le attività delle organizzazioni di volontariato, assolutamente indispensabili e meritorie, non hanno avuto come corollario il contributo della comunicazione, quasi che l’azione volontaria, nascosta nel sordo agire quotidiano, convalidasse con il silenzio la natura altruista e gratuita del suo agire (il suo savoir-faire).
Dall’altro lato, invece, questo silenzio comunicativo ha lasciato campo aperto a tutte quelle organizzazioni (soprattutto imprese) che si sono appropriate dei temi tipici dell’azione volontaria (il concetto di comunità, la parola “insieme”, l’impegno etc etc), facendone oggetto di marketing e promozione del loro agire, identificandosi presso la cittadinanza come paladini di quei valori (prima di tutto, quindi, fair-savoire).
Ovviamente faire-savoir non prescinde da savoir-faire, altrimenti diventa una balla colossale: su questo, credo però che le organizzazioni di volontariato tutte (ed in tutte le loro forme) abbiano così tanto savoir-faire che si potrebbero sempre permettere anche un po' di faire-savoir. Sempre su questo, però, il cittadino è disposto dare credito a chi applica il fare-savoir anche se è ben cosciente che dietro non c’è il savoir-faire.
Nella società dell’immagine le informazioni sugli eventi viaggiano parallele agli eventi stessi (di fatto rendendoli effettivamente accaduti): le associazioni devono pertanto operare un cambio di paradigma, ed imparare a mettersi in vista, per togliersi anche da quella dimensione di scontatezza che a volte le ammanta, evitando quindi di lavorare sempre e solo nel silenzio.
Dietro a tutto questo c’è quindi la necessità di un davanti: strategie di comunicazione semplici, anche basiche, che portino alla luce le tante azioni, i tanti volti, i densi valori con in quali la galassia del Terzo Settore si fa corpo vivo e vitale (forse l’unico) del nostro contesto sociale, delle nostre comunità.
Se il cittadino che si trovasse di fronte ad una azione volontaria ne ricevesse anche altrettanta informazione-promozione, l’identificazione sarebbe molto utile all’azione stessa ed al sistema intero, ma anche alla capacità di coinvolgimento di quel cittadino (un potenziale nuovo volontario).
“Le anatre depongono le loro uova in silenzio. Le galline invece schiamazzano come impazzite. Ecco perché tutto il mondo mangia uova di gallina” (Henry Ford). Parafrasando un vecchio proverbio “tra il dire e il fare c’è di mezzo anche il dire”.
Alla prossima, e fate pubblicità.
Foto in alto di Raffaello Spano - Progetto Fiaf Csvnet - Tanti per tutti Viaggio nel volontariato italiano