Sarà per la drammaticità della condizione economica attuale o per il vizio di semplificare, ma le esperienze di cohousing e di housing sociale rischiano di essere lette soltanto attraverso l’ottica di una risposta alla crisi: sempre più difficile possedere una casa, paralisi del mercato immobiliare, concessioni di mutui dimezzate, sfratti per morosità in aumento. Tutto vero.
Ma per capire il significato profondo di queste esperienze dobbiamo seguire un’altra strada, quella di ascoltare i protagonisti di questi progetti, le loro motivazioni, le loro storie, le loro fatiche, le loro conquiste.
Questo di cui si parla è un “movimento culturale”, allo stesso tempo individuale e collettivo, che cerca di conquistarsi uno stile di vita dove siano i “valori” in cui si crede a determinare “l’assetto” della vita quotidiana.
La forza di queste esperienze nasce dalla volontà e non solo dalle necessità.
“Non riuscire a rendere pratica quotidiana i nostri ideali ci disturbava molto”, ci dice Bruno Volpi raccontando di sé e di sua moglie Enrica. Una luna di miele da missionari laici in Rwanda durata 8 anni. Partiti in due e tornati, stranieri in patria, in sette. Persone che sognavano un’alternativa e con tanta fatica la hanno realizzata. Persone che hanno scoperto, sulla propria pelle, quanto sia difficile lavorare per vivere e non viceversa, rispettare la propria vocazione alla famiglia e trovare il confine “giusto” fra l’intimità e l’apertura agli altri.
Oggi la loro esperienza è raccontata anche in un libro “Un’alternativa possibile. Villapizzone: le radici delle comunità familiari” . Ma quell’esperienza, negli ultimi trent’anni, è l’esperienza di tanti.
Comunità familiari o condomini solidali, alla base c’è sempre un sogno, quello di agire contro l’isolamento, di sentirsi parte di una comunità, di favorire la collaborazione e la cooperazione fra le persone, di condividere stili di vita sostenibili ed inclusivi, di vivere meglio anche rendendosi utili agli altri.
Ma per capire il significato profondo di queste esperienze dobbiamo seguire un’altra strada, quella di ascoltare i protagonisti di questi progetti, le loro motivazioni, le loro storie, le loro fatiche, le loro conquiste.
Questo di cui si parla è un “movimento culturale”, allo stesso tempo individuale e collettivo, che cerca di conquistarsi uno stile di vita dove siano i “valori” in cui si crede a determinare “l’assetto” della vita quotidiana.
La forza di queste esperienze nasce dalla volontà e non solo dalle necessità.
“Non riuscire a rendere pratica quotidiana i nostri ideali ci disturbava molto”, ci dice Bruno Volpi raccontando di sé e di sua moglie Enrica. Una luna di miele da missionari laici in Rwanda durata 8 anni. Partiti in due e tornati, stranieri in patria, in sette. Persone che sognavano un’alternativa e con tanta fatica la hanno realizzata. Persone che hanno scoperto, sulla propria pelle, quanto sia difficile lavorare per vivere e non viceversa, rispettare la propria vocazione alla famiglia e trovare il confine “giusto” fra l’intimità e l’apertura agli altri.
Oggi la loro esperienza è raccontata anche in un libro “Un’alternativa possibile. Villapizzone: le radici delle comunità familiari” . Ma quell’esperienza, negli ultimi trent’anni, è l’esperienza di tanti.
Comunità familiari o condomini solidali, alla base c’è sempre un sogno, quello di agire contro l’isolamento, di sentirsi parte di una comunità, di favorire la collaborazione e la cooperazione fra le persone, di condividere stili di vita sostenibili ed inclusivi, di vivere meglio anche rendendosi utili agli altri.