E poi un giorno ti chiedi se quello che fai, se il tuo mestiere di pubblicitario ha un senso, se la pubblicità può davvero cambiare il mondo, se aiuta gli altri oppure è solo una macchina per i soldi...
E pensi che si… la pubblicità è uno strumento obbligato anche per le associazioni: senza pubblicità, quello che fanno le associazioni semplicemente non esiste. È anche vero che le associazioni (pure quelle più piccole) stanno imparando a comunicare, finalmente hanno capito che posizionarsi (il marketing) e migliorare la propria immagine (la comunicazione) sono momenti necessari, corollari virtuosi ed utili della loro azione volontaria.
E ti consoli, pensando che quello che fai serve a qualcuno, serve a qualcosa, serve a far capire ad un target-obiettivo che una associazione (un brand) ha bisogno di una mano, che fa una chiamata all’azione, e che il cittadino non deve fare altro che seguire la chiamata (come se la pubblicità fosse un pifferaio di Hammelin).
E pensi che il mondo è migliore oggi rispetto a tanti anni fa, che su tante questioni di cui il volontariato si fa carico si è fatta tanta strada, e pensi che la pubblicità nel tempo ha rotto stereotipi, messo a nudo stigmi, cambiato luoghi comuni, modificato abitudini, storture, comportamenti, intenzioni.
C’è aria di Natale, i primi alberi già perdono gli aghi nelle case, i panettoni sugli scaffali sono in mostra (da settembre), e in questo tripudio di bianco, di rosso e di lucine scopri che il 3 dicembre è la Giornata internazionale sulla disabilità.
Come tutte le giornate internazionali, è una giornata di riflessione su un tema, per capire cosa è stato fatto, cosa c’è ancora da fare; sono 194 solo quelle dell’Onu, senza contare quelle europee e nazionali (così tante, che non ci basta un calendario).
E per riflettere sul ruolo della pubblicità in ambito disabilità, ti imbatti nella campagna che presenti oggi: una campagna di PAS-Public Advertising System, di una scuola di arti grafiche di New York in collaborazione con una fondazione presieduta (all’epoca) dal designer Milton Glaser (uno dei veri capostipiti di un mestiere) e contenuta in un archivio di comunicazione (anche sociale).
La campagna affronta il tema dell’assunzione al lavoro di persone con disabilità. Il testo parla di velocità di pensiero e di capacità di battere a macchina (l’abilità di camminare non ha alcuna rilevanza rispetto all’abilità di battere a macchina), e si chiude con una battuta “Stai assumendo la sua abilità, non il suo handicap (parola che, per fortuna, oggi non si usa più …), non devi camminare per battere a macchina”.
Poi guardi la data: 1980. Questa campagna è di 43 anni fa…
Tutto congiurava a capirlo, soprattutto il visual, la pettinatura di lei e l’ufficio con le IBM a pallina rotante (per chi se le ricorda). E allora te lo domandi sul serio, se dopo 40 anni la pubblicità ha fatto davvero qualcosa, se il mondo sia davvero cambiato, se effettivamente le opportunità lavorative in caso di disabilità siano migliorate, oppure se ci siano ancora lotte da fare.
E ti dici che, in effetti, in oltre 40 anni si sarebbe potuto ottenere molto di più. Ed è per questo che bisogna continuare a lottare, ad agire e farlo sapere, a farne parlare, a dirlo il più possibile e nei modi più creativi, potenti ed incisivi possibili.
Se non lo fanno le scuole di grafica, le università, le associazioni … se non lo fa chi è davvero interessato, non lo farà nessuno.
Alla prossima… e fate pubblicità.
Ps. Non sappiamo (l’archivio non ce lo dice) se questa campagna sia stata solo un “caso di studio” o se sia uscita davvero su giornali e riviste … ma direi che importa poco.