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Ma il problema è sempre quello: il domicilio. Se non c'è residenza niente servizi nè diritti

Tra le 173 strutture che in Toscana offrono risposte al disagio abitativo, 19 sono interamente dedicate ai senza dimora. In tutto 363 posti letto, metà dei quali in provincia di Firenze. In un anno hanno registrato 4.175 ingressi: 94,5% uomini, nel 37% dei casi di origine italiana. Questi alcuni dati del Rapporto sulle strutture di accoglienza in Toscana pubblicato lo scorso ottobre dalla Fondazione Michelucci. Nel rapporto si legge che i ‘poveri di casa’ rappresentano una vera e propria emergenza che va oltre il fenomeno dei ‘senza dimora’.

Nel 2011, secondo un altro studio della Fondazione Michelucci, gli sfratti eseguiti in Toscana sono stati 2.973, nel 2007 erano 1600. Negli ultimi 4-5 anni alle persone ‘senza dimora’ che, oltre alla mancanza di casa, vivono situazioni di grave marginalità sociale si sono quindi aggiunte fasce di popolazione rimaste senza casa a causa di un forte impoverimento.

Come sottolinea la ricerca nazionale sulle persone senza dimora promossa da Fiopsd e condotta da Istat, per gli uni e per gli altri si fatica a trovare risposte organiche, integrate e coordinate sul territorio, di medio e lungo periodo. Insomma ad andare oltre l’emergenza (leggi l'intervento di Paolo Pezzana). Soprattutto per le persone senza dimora, ha osservato recentemente l'Istituto per la ricerca sociale, sarebbe necessario definire livelli essenziali dedicati e sostegni economici specifici.

In Italia gran parte degli interventi e delle strutture per persone senza dimora sono gestite da enti non profit, come associazioni di volontariato e cooperative sociali (leggi intervista a Alessandro Carta). La ricerca Fiopsd-Istat ha rilevato in 158 comuni 727 enti e organizzazioni che erogano servizi alle persone senza dimora. Operano in 1.187 sedi ed ognuno eroga mediamente 2,6 servizi per un totale di 3.125 servizi. Un terzo riguarda bisogni primari (cibo, vestiario, igiene personale), il 17% fornisce un alloggio notturno, mentre il 4% offre accoglienza diurna. Molto diffusi anche i servizi di segretariato sociale (24%) e di presa in carico e accompagnamento (21%). Gli enti pubblici erogano direttamente solo il 14% dei servizi, raggiungendo il 18% dell’utenza.

Tuttavia in Italia per accedere ai servizi e poter esercitare diritti come quello al voto, occore la cosiddetta residenza anagrafica. Per le persone senza dimora il problema rimane quindi sempre quello: il domicilio (leggi intervista a Antonio Mumolo, presidente di Avvocato di Strada). Alcuni Comuni hanno allora istituito un indirizzo virtuale, una strada fittizia da inserire nei documenti delle persone senza dimora, altre amministrazioni invece hanno adottato il cosiddetto ‘domicilio di soccorso’.

Come ci ha spiegato Donatella Iaccarino dell’Ufficio Anagrafe di Livorno, “alle persone senza dimora attribuiamo un domicilio di soccorso presso un’associazione. A Livorno sono Arci e Caritas a svolgere questo servizio. Presso di loro le persone ricevono la posta ma non solo. Abbiamo optato per questa soluzione molti anni fa perché ci sembrava l’unica che, senza aggravi per il Comune, offrisse un servizio ‘umano’ e non solo burocratico-amministrativo. Del resto questa soluzione è nata in Toscana negli anni Novanta. I fiorentini sono stati i primi a adottarla”.

Ed, infatti, il domicilio di soccorso presso un’associazione fu introdotto dal Comune di Firenze nel 1995 su suggerimento di Periferie al Centro, l’associazione che nel 1994 ha fondato il giornale di strada “Fuori binario”.

Secondo Maria Pia Passigli, una delle fondatrici di Fuori Binario, quella del domicilio presso un’associazione è stata una battaglia storica per le persone senza dimora. Ma nel 2004 il Comune di Firenze ha deciso di abbandonare questa soluzione e passare all’indirizzo virtuale “via Leandro Libero Lastrucci”. Scrivere sui documenti questo indirizzo, secondo Maria Pia Passigli, ha significato tornare al passato e, ancora una volta, ‘bollare’ le persone senza dimora.

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